“Siamo stanchi, non c’è solo il Teatro Regio”. Arriva dal Teatro Due, amplificato dalla voce del regista Walter Le Moli, lo sfogo del mondo della cultura, o meglio dei teatri di Parma, oscurati in questi ultimi tempi dalla crisi del Regio e dai problemi della Fondazione, abbandonata dai soci e con un debito che supera i 5 milioni di euro. Perché, come ha fatto notare il regista al termine della presentazione della stagione del noto teatro di prosa, anch’esso storico patrimonio della città, “sembra che qui ci sia un cadavere, ma ci sono anche gli altri, e noi a Parma abbiamo difeso la tradizione, fatto cose importanti, aperto nuovi procedimenti, cambiato le regole. Non si può parlare solo del Regio”.

L’argomento tabù-Regio era stato volutamente evitato dal direttore della Fondazione Teatro Due Paola Donati, che prima di cominciare la conferenza si era rifiutata di rispondere ai giornalisti in merito alla crisi del teatro di tradizione, per non spostare l’attenzione dal calendario del Due. Certo il pericolo era dietro l’angolo, visto che al tavolo dei relatori, oltre al sindaco Federico Pizzarotti e all’assessore alla Cultura Laura Ferraris c’era anche Roberto Delsignore, presidente di Fondazione Monte di Parma, che di recente è uscita dai soci fondatori del Regio, lasciando da solo il Comune.

Del convitato di pietra però non voleva parlare nessuno, tra le belle parole sulla rassegna di titoli e artisti, sull’eccellenza del Due, “un teatro che funziona, con un ensemble stabile unico in Italia, che riesce ad offrire una proposta valida nonostante le difficoltà della crisi”, su un programma che abbraccia autori da Camus ad Aristofane, da Pirandello a Shakespeare.

Ma un intervento dal pubblico ha rotto il fragile equilibrio: parlare della stampa che dà spazio solo ai problemi e non alle belle notizie ha dato il “la” al regista, tra i fondatori del Due, per puntare il dito contro il “tormentone Regio” e la politica, principale responsabile del fallimento dei teatri. “Non c’è solo il pubblico – ha incalzato Le Moli – Ogni Cda politico, quando fallisce, porta con sé tutto quanto, rovinando il lavoro degli artisti. Ma chi l’ha detto che bisogna continuare così? Troviamo forme nuove, senza continuare con questa parodia del Parlamento, che applicata altrove non funziona. Io non voglio il male del Regio, ma non deve finire come l’aeroporto Verdi”.

La scintilla ha acceso il dibattito sul sistema cultura a Parma. L’assessore Ferraris, riferendosi al Regio, ha chiarito: “Qui non c’è un cadavere, ma un ferito grave, che tornerà ad essere un teatro della città di Parma, perché come tutti gli altri deve riprendere a lavorare. A Parma – ha aggiunto poi – esiste un sistema teatrale che è una ricchezza e che non è stata valorizzata come avrebbe dovuto. È un ottimo segnale che si discuta, perché significa che, come in una famiglia, si lavorerà insieme per intervenire su chi è più sofferente”. 

Un appello alla città e alle sue componenti che anche il direttore Donati, che nei primi tempi dell’era di Federico Pizzarotti aveva avuto contatti con i Cinque stelle come possibile assessore alla Cultura, ha sottolineato, auspicando l’inizio di una nuova stagione culturale: “Il consenso fa male al teatro, come la politica – ha detto – Ci vogliono atti di discontinuità e bisogna accettare di essere messi in discussione. Il Regio non va considerato una monade a sé, ma c’era bisogno di un cambio di mentalità anche dentro quel teatro, che non è una torre d’avorio, intoccabile”. Quindi, riferendosi all’operato di Pizzarotti da presidente della Fondazione, e di fronte al suo ex socio Delsignore, impassibile durante il dibattito, ha concluso: “Non si può scaricare la responsabilità di quello che c’è su una persona che è qui da pochi mesi. E poi, lasciatemelo dire: non esiste solo Verdi”.

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