Nel campionato appena iniziato, il clima che si respira è plumbeo, il grigiore dei più assoluti, non solo per il livello del gioco, ma anche per la qualità del dibattito che lo accompagna. È un dato incontrovertibile: il Campionato italiano di calcio non ha perduto soltanto alcuni grandi giocatori, quanto, in particolare, una delle poche ‘menti’ che esistono nello sport più seguito del mondo, l’allenatore-filosofo per eccellenza: José Mourinho.

Basti solo un pur sommario confronto con alcune dichiarazioni dell’allenatore portoghese con quelle formulate dagli attuali mediocri protagonisti del nostro sistema-calcio. Come non marcare la differenza tra la ‘bellezza’ estetica del gesto delle manette nel campionato del ‘triplete’ 2009-2010 (ovviamente immediatamente punito con il deferimento e la squalifica) e il teatrale provincialismo dello sfogo e della dichiarazione d’innocenza dell’allenatore juventino Conte (almeno finora non deferito e, dunque, non squalificato). Non si può fare a meno di constatare che il buon gusto e lo spirito critico sono patrimonio di pochi. Come non marcare la differenza tra lo stile comunicativo di Mourinho – per esempio, il silenzio che segue la squalifica e che precede l’attingimento della gloria (la conquista del ‘triplete’, mai raggiunta in Italia da nessun altro allenatore), la solitudine che caratterizza l’atteggiamento e la vocazione di ogni interista veramente ‘estremo’, nell’accezione della dialettica degli estremi di Walter Benjamin, dove la tesi e l’antitesi non potranno mai incontrarsi – e la disarmante dichiarazione dell’attuale Ministro degli Esteri interista Luis Figo: “il ciclo dell’Inter è finito”, che riesce a superare in ovvietà perfino Monsieur De La Palice.

Come non marcare la differenza tra la polemica accesa da Mourinho nel campionato 2008-2009 sulla ‘subalternità intellettuale’ e quella del Presidente interista Massimo Moratti, che rasenta il paradosso: “l’Inter ha un progetto”. Di quale progetto sta parlando, Presidente? Forse quello di rientrare nei parametri economici del fair-play, non raggiungendo quelli sportivi? Il classico caso del serpente che si morde la coda. È un progetto quello di vendere i migliori giovani del proprio vivaio (Bonucci, Destro, Balotelli)? Purtroppo l’Inter, in primo luogo, e tutto il campionato italiano hanno perduto l’unica personalità che spiccava per intelligenza, l’unico che aveva capito fino in fondo quello che uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi, Hegel, aveva intuito nel celebre paragrafo 256 dei Lineamenti di Filosofia del Diritto. Nella sua opera berlinese, Hegel s’interroga sul concetto di Stato, definendolo “il primo principio” rispetto alle parti che lo compongono. Come deve essere interpretato e non frainteso questo ‘venir prima dello Stato’? Certamente non in senso cronologico, si tratterebbe di un’affermazione facilmente controvertibile e non verosimile alla stregua di quelle che abbiamo esaminato poc’anzi. Lo Stato, rispetto alle parti che lo compongono (famiglia e società civile), costituisce il primo principio perché le parti realizzano il proprio fine solo se si commisurano alla Totalità-Stato.

Si tratta di un modello filosofico che può essere applicato in maniera feconda all’organizzazione del gioco di una squadra di calcio. Senza i giocatori e senza dirigenti e allenatore, una squadra non potrebbe neppure esistere, ma se i giocatori, i dirigenti, l’allenatore non si realizzano all’interno della squadra (la Totalità), quest’ultima non potrà mai risultare vincente. Mourinho era riuscito a capire tutto questo e perciò le sue squadre hanno sempre avuto una tradizione vincente.

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