Ieri ho letto sul Fatto con interesse il pezzo, per alcune cose condivisibile, di Andrea Scanzi su Grillo e il caso Favia. A un certo punto però sono sobbalzato su questa frase: “In un paese normale, quello di Favia sarebbe derubricato a sfogo privato (vecchio di tre mesi) di un “dipendente” frustrato nei confronti del “datore di lavoro”. Pagliuzze rispetto alle travi della politica politicante (che tanta stampa, la stessa che ora festeggia per l’harakiri grillesco, non vuol vedere)….”.

Le categorie padrone-dipendente applicate alla politica non mi piacciono e soprattutto non mi piace che siano considerate degne di un paese normale, anche se tra virgolette. Le logiche proprietarie e aziendalistiche non hanno nulla a che fare con la politica in un paese normale. I metodi di selezione delle classi dirigenti di un movimento che fa della democrazia diretta il suo verbo non sono una pagliuzza ma una questione politica seria, come Scanzi stesso ammette più avanti nel pezzo. Un partito con un padrone che caccia i dipendenti frustrati non è mai una cosa bella da vedere, chiunque sia il padrone. 

Era preoccupante il partito di plastica dei corrotti e del Caimano, è meno preoccupante ma fa incazzare doppiamente se ritroviamo concetti come il padrone, il dipendente e il “Che fai mi cacci?” nel partito di byt degli onesti e di Grillo.

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