Anche l’altro consigliere regionale del Movimento 5 stelle, Andrea Defranceschi, ha preso parte a trasmissioni per cui era stata pagata una tariffa. Dario Pattacini, il conduttore dell’emittente bolognese 7 gold che con le sue dichiarazioni sulle interviste pagate dai politici sta mettendo in subbuglio le aule della Regione Emilia Romagna, è stato messo sotto torchio dalla Guardia di finanza. Le Fiamme gialle di Bologna lo hanno voluto sentire nell’ambito delle indagini per peculato aperte dalla Procura di Bologna. Durante l’interrogatorio di stamane, Pattacini ha spiegato che molti altri giornalisti (“pubblicisti”, specificherebbe) userebbero il suo sistema con i politici: se vuoi apparire, paga.

Chiamato in causa per la prima volta, Defranceschi si difende. “Trovo una non-notizia il fatto che Pattacini abbia fatto il mio nome”. Poi il consigliere fa sua la difesa che era stata anche del collega di partito, Giovanni Favia. “È solo la conferma che abbiamo comprato quegli spazi per la comunicazione delle attività regionali del nostro gruppo, in piena coerenza con il nostro mandato, con la volontà di far conoscere il nostro lavoro ai cittadini, e con le leggi che regolano l’uso del budget. Il reato ipotizzato di peculato non ci sfiora”. Poi conferma che era lui ad autorizzare: “Da capogruppo l’ho sottoscritto io il contratto”.

Anche Pattacini durante l’interrogatorio ha spiegato che erano i “gruppi consiliari” a decidere consiglieri mandare. Era proprio questo che volevano capire gli inquirenti: a decidere era il partito o la singola persona che andava davanti alle telecamere. In quest’ultimo caso l’ipotesi di peculato, sarebbe più plausibile. Ora agli inquirenti basterà sfogliare fatture e contratti per avere conferma che i politici spendessero soldi pubblici almeno su mandato dei loro colleghi.

Con una battuta, Defranceschi spiega anche perché Favia, era più presente a quelle trasmissioni: “Se è andato qualche volta di più è solo perché io abito Camugnano e l’orario delle 7 del mattino risulta un po’ pericoloso per la mia vita coniugale”, scherza, ricordando di aver partecipato una sola volta alla trasmissione.

Pattaccini, ex conduttore del programma 7 in punto, avrebbe poi confermato quanto già detto. Nonostante ci fosse “un tariffario, pubblicato sul sito internet della Media & Media 93” (la società・concessionaria della pubblicità, ndr) il conduttore ha ribadito agli inquirenti di non essersi “mai fatto imporre le domande”. Il tariffario, ha spiegato poi alle Fiamme gialle che lo interrogavano, era “uguale per tutti”.

Il giornalista ha invece detto di non essere a conoscenza di pagamenti per le comparsate all’interno dei telegiornali. I consiglieri Giovanni Favia del M5s e Gian Guido Naldi di Sel avevano spiegato che alcune emittenti inserivano nel “pacchetto” anche un passaggio nei tg.

Pattacini ha poi confermato tutti i nomi anche degli altri personaggi politici coinvolti. Nessuna novità: Favia e Naldi, Manes Bernardini e Mauro Manfredini della Lega Nord, Galeazzo Bignami del Pdl, Silvia Noé dell’Udc e Roberto Sconciaforni della Federazione della sinistra. Tutti hanno già spiegato che era pratica comune pagare per avere una visibilità che la maggioranza guidata dal Pd ha molto più facilmente. L’unico nome mancante nell’elenco fatto oggi è quello del consigliere del Pd, Thomas Casadei, le cui interviste a pagamento sono avvenute sulle tv romagnole.

Ma se dal punto di vista penale la vicenda potrebbe avere corso breve, dal punto di vista deontologico Pattacini qualcosa in più・l’ha detta agli inquirenti. Tanti altri pubblicisti sarebbero nella sua situazione e farebbero lo stesso. Tuttavia non avrebbe fatto nomi ai finanzieri. Poi lancia un’accusa all’Ordine dei giornalisti, colpevole di non averlo ancora sentito da quando è・scoppiato lo scandalo e lui ha portato alla luce il sistema delle interviste pagate.

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