“Vittorio Mangano? Sapevo che era una persona perbene”. E’ quanto ha detto Silvio Berlusconi durante l’interrogatorio a Roma davanti ai pm Antonio Ingroia e Lia Sava, che lo hanno sentito come testimone nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta estorsione ai suoi danni commessa da Marcello Dell’Utri.  

Durante la deposizione si è parlato di Mangano, dell’amico mafioso di Dell’Utri, Tanino Cinà ( sposato con una figlia di un capomafia e imparentato attraverso di essa con con la famigli del vecchio boss dei boss  Stefano Bontade), e del  fiume di denaro versato dal Cavaliere sui conti del senatore azzurro, ideatore nel 1993 di Forza Italia. “Mangano e Cinà? Persone apparentemente perbene, dai modi gentili. Era impossibile sospettarne i legami mafiosi”, ha ripetuto con forza Berlusconi, sebbene le carte processuali raccontino una storia del tutto diversa.

Secondo le sentenze Vittorio Mangano era infatti stato assunto ad Arcore nel 1974 con mansioni precise: fattore (guadagnava mezzo milione di lire al mese) e accompagnatore dei figli di Berlusconi a scuola. In quel momento il Cavaliere era terrorizzato dai sequestri di persona e anche per questo, stando ai giudici, incontrò l’allora capomafia Stefano Bontade, ottenendo la sua  protezione, garantita dalla presenza di Mangano a Villa San Martino. L’uomo, destinato a diventare nel 1992 reggente del clan di Porta Nuova, negli anni Ottanta è stato poi condannato nel maxiprocesso  per associazione per delinquere e traffico di droga in seguito alle indagini di Paolo Borsellino (all’epoca non c’era ancora il reato di associazione mafiosa, ndr), che definì Mangano “teste di ponte dell’organizzazione mafiosa nel Nord Italia”. Poi, nel 1995 ha subito una condanna per omicidio, ma il processo non è giunto mai a conclusione perché il mafioso è morto il 23 luglio del 2000. 

Già prima di arrivare ad Arcore Mangano aveva però avuto molti problemi con la giustizia: tra il 1966 e il 1973, sia a Palermo che a Milano, era già stato più volte arrestato, denunciato e, in qualche caso, condannato per truffa, emissione di assegni a vuoto, ricettazione, lesioni volontarie e tentata estorsione.  Almeno una volta, secondo le sentenze contro Dell’Utri, sarebbe poi finito in manette per scontare un pena definitiva quando già si trovava alle dipendenze del Cavaliere. E nonostante questo non fu allontanato.

La parte principale della deposizione ha comunque  riguardato i 40 milioni versati dal Cavaliere Dell’Utri in 10 anni, secondo i pm, estorti dal senatore del Pdl. “Nessuna estorsione” ha giurato Berlusconi. Solo delle donazioni fatte a “un amico e prezioso collaboratore” per le sue esigenze personali. Dalle necessità per ristrutturazioni di immobili, all’acquisito di libri (Dell’Utri è un appassionato bibliofilo) ai bisogni di spesa molto elevati dei familiari del senatore. Per quanto riguarda la villa sul lago di Como che l’ex premier ha comprato da Dell’Utri pagandola, secondo i pm, una cifra spropositata rispetto al suo reale valore, Berlusconi ha sostenuto che la quantificazione del corrispettivo di vendita era stata fatta in base a una perizia che la valutava sui 21 milioni circa.

Durante l’interrogatorio Berlusconi ha consultato una serie di documenti bancari sui bonifici fatti, atti che nei prossimi giorni i legali faranno arrivare ai pm di Palermo. E ha affermato che quel fiume di denaro non è stato versato a Dell’Utri per pagarne il silenzio, ma solo perché il senatore  temeva di essere condannato definitivamente in cassazione (l’ex fondatore di Publitalia era infatti riparato all’estero il giorno del verdetto). Insomma per leader del Pdl  la verità è una sola: Dell’Utri era un amico in difficoltà, perseguitato ingiustamente dai giudici, che lui si sentiva in dovere di aiutare in qualche modo.

”Il presidente Berlusconi ha chiarito compiutamente tutti gli aspetti della vicenda. Quali difensori della persona offesa, abbiamo provveduto al deposito di idonea documentazione a ulteriore comprova delle dichiarazioni rese”: questa la nota diramata dagli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo poco dopo la fine dell’interrogatorio.

La decisione della Procura di convocare Berlusconi come teste ha spuntato le armi della difesa, privando l’ex premier della chance a cui ricorse il 26 novembre del 2002, quando, citato nel processo per concorso esterno in associazione mafiosa all’ex manager di Publitalia, a sorpresa, dopo avere fatto spostare il tribunale a Palazzo Chigi, si avvalse della facoltà di non rispondere.

Nonostante le eccezioni dei suoi legali, respinte dalla Procura, la veste del teste assistito, che gli avrebbe permesso di restare in silenzio, non gli è stata concessa. E Berlusconi si è presentato davanti ai pm come un testimone qualunque. O meglio ‘quasi qualunque’, visto che il procuratore di Palermo Francesco Messineo, l’aggiunto Antonio Ingroia e il pm Lia Sava alla fine su un punto hanno ceduto e, dopo settimane di trattative frenetiche, hanno acconsentito a tenere l’interrogatorio a Roma e non a Palermo come deciso inizialmente. Una scelta, quella del capo dei pm, che ha creato malumori nel pool che indaga sull’estorsione, spaccato tra le ‘colombe’, disponibili a spostarsi nella Capitale, e i ‘falchi’ che ritenevano un errore “cedere”.

Le domande fatte all’ex premier erano state concordate ieri dai magistrati in una lunghissima riunione e ruotavano tutte attorno ai 40 milioni dati, in varie tranche, da Berlusconi a Dell’Utri. Un fiume di denaro che, ipotizzano i pm, l’ex premier avrebbe pagato per comprarsi, tramite l’amico palermitano, la protezione di Cosa nostra, come avvenne negli anni ’70, o per assicurarsi il suo silenzio sui presunti rapporti dell’ex premier coi clan mafiosi. Sulla questione è stata già interrogata la figlia di Berlusconi, Marina. L’interrogatorio è durato tre ore: convenevoli e verbalizzazione a parte, il botta e risposta tra i magistrati e il leader del Pdl non dovrebbe essersi protratto per più di due. I legali hanno anche riprovato a eccepire l’incompetenza della Procura siciliana sull’inchiesta e hanno  insistito perché il loro cliente fosse sentito come teste assistito, vista la precedente indagine per riciclaggio a suo carico.

Respinte le eccezioni si è entrati nel vivo, partendo dal passato: i rapporti tra Berlusconi e i mafiosi Vittorio Mangano, ex stalliere ad Arcore e Tanino Cinà, vicende che costituivano oggetto dell’interrogatorio sfumato 10 anni fa. Il Cavaliere è stato ascoltato in una caserma della Guardia di Finanza in via dell’Olmata, poi è rientrato a palazzo Grazioli con i suoi legali Niccolò Ghedini e Pietro Longo. L’interrogatorio ha fatto slittare a stasera il vertice del Pdl convocato per discutere, tra le altre cose, di legge elettorale. Nella residenza romana finora è rimasto anche il portavoce Paolo Bonaiuti, l’ex ministro Renato Brunetta e il segretario Pdl, Angelino Alfano

 

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