Mentre l’agenda digitale italiana sembra  destinata a trasformatasi nell’agenda della tela di Penelope, data l’interminabile sequenza di rinvii nel varo dell’atteso Decreto Digitalia, l’Oecd – l’organizzazione della Cooperazione e dello Sviluppo economico – ha pubblicato i dati relativi alla diffusione di Internet nei 34 Paesi che vi aderiscono.

La lettura dei dati è un esercizio al quale c’è da augurarsi che gli uomini del super-Ministro dell’agenda digitale non si sottraggano.

L’Italia è, quasi, il fanalino di coda dei 34 Paesi con appena il 22,4% della popolazione che dispone di una connessione a Internet a banda larga di rete fissa.

Peggio dell’Italia solo l’Irlanda, la Grecia, il Portogallo, l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Polonia, la Slovacchia, il Cile, il Messico e la Turchia.

Lo scenario non cambia e, anzi, peggiora se si guarda alla percentuale di cittadini che dispongono di una connessione a banda larga su rete mobile: qui, ancorché la percentuale di italiani salga al 31,7%, dietro del nostro Paese, restano solo Slovenia, Belgio, Cile, Ungheria, Turchia e Messico.

Ma il dato più allarmante, che il Ministro Passera farebbe bene a scrivere in modo indelebile nelle premesse del proprio Decreto è un altro.

L’Oecd ha, infatti, misurato anche il tasso di crescita della penetrazione della banda larga nei 34 Paesi nel semestre giugno-dicembre 2011: il nostro Paese è ultimo, trentaquattresimo con una percentuale pari al -0,6% che, evidentemente, significa, che abbiamo perso qualche abbonato a Internet veloce per strada.

Tanto per avere un’idea, nello stesso semestre – secondo i dati Oecd che sono informazioni fornite direttamente dai Governi dei Paesi aderenti – la percentuale di crescita del livello di penetrazione della banda larga, in Grecia è stata del 4,8% e in Polonia del 5,4%.

E’ una situazione grave e sconfortante rispetto alla quale occorrono misure davvero urgenti e straordinarie, ben diverse dalle continue promesse, rinvii e boutade mediatico-politiche viste sin qui.

Senza Internet non c’è futuro e non c’è crescita.

A metterlo nero su bianco – riassumendo i risultati di studi e ricerche indipendenti svolti negli ultimi anni in tutti il mondo – è lo stesso Oecd, nel suo Studio intitolato “L’impatto di internet nei Paesi OECD”, pubblicato a Giugno.

Inequivocabili le conclusioni alle quali si perviene nello Studio.

A prescindere da numeri e percentuali – sui parametri di misurazione dei quali c’è spazio per discutere – secondo l’Oecd è indubbio che la diffusione di Internet produca enormi effetti benefici a diversi livelli: miglioramento delle condizioni di mercato per i consumatori in ragione della moltiplicazione dei canali distributivi e dell’offerta, aumento dei modelli di business implementabili dalle imprese e, quindi, delle occasioni di lavoro, crescita delle opportunità di dialogo tra amministrazione e cittadini e, dunque, diffusione di pratiche di buon governo.

Ma non basta.

Lo Studio non ha dubbi circa il fatto che la diffusione di Internet e, in particolare, del tasso di penetrazione delle risorse di connettività a banda larga, influenza in maniera diretta anche la macro-economia.

Ad ogni aumento dell’indice di penetrazione della banda larga, si accompagna una crescita del Pil.

Serve altro per convincersi che è indispensabile correre ai ripari e recuperare il tempo perso a causa delle miope strategia di chi ci ha governato che ha ritenuto di rinviare gli investimenti in banda larga al giorno nel quale – non è dato sapere come – il Paese sarebbe uscito dalla crisi, assecondando le resistenze – facilmente comprensibili ma non condivisibili – dell’ex monopolista delle telecomunicazioni.

Altro che generazione perduta. Se non si adottato, con urgenza, misure straordinarie, rischiamo di diventare un Paese perduto, un’isola analogica in un universo digitale.

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