Aperti dal mattino fino a tarda sera, frequentati a qualsiasi ora da una clientela varia e indaffarata, che mangia in fretta, spesso in piedi, e altrettanto in fretta torna a tuffarsi nel trantran metropolitano. Fin qui nulla di diverso da quello che accade nei fast food di mezza Europa. Adesso però catapultatevi con la mente in Giappone: ecco che qualcosa cambia, e non si tratta solo della location, che abbonda di lampade rosso vermiglio e insegne incomprensibili quanto affascinanti. Quello che vi stupirà, se avrete modo di visitare la terra dei templi e dei samurai, è la qualità dei piatti presentati dalle catene di ristorantini che servono pietanze veloci e appetitose, allettanti anche nel prezzo. Già, perché la prima cosa da dimenticare, in questo caso, è che ciò che costa poco sia per forza scadente o cucinato male.

La domanda a questo punto è legittima: cosa si mangia nei fast food orientali? Cominciamo col dire che gli affezionati del MacDonald’s ne troveranno praticamente uno a ogni angolo di strada, ma il rischio di tradire il doppio cheeseburger per una pietanza di riso fumante, speziato, arricchito con carne di manzo e condito con salsa di soia – fidatevi – sarà altissimo. Il tutto per la modica cifra di 500 yen, ovvero poco meno di 5 euro.

Per qualità, anche se in media si spende un po’ di più, “Yoshinoya” batte tutti. Qui (come in altre due famosissime e diffusissime catene giapponesi, “Matsuya” e “Sukiya”), si servono i gyūdon, le classiche ciotole di riso bianco bollito con un topping che varia dai tocchetti di pollo, alle listarelle di manzo, al pesce e ai crostacei, alle uova. Solitamente le proposte cambiano in base alla reperibilità dei prodotti nelle diverse stagioni. Chiaro segnale della freschezza dei piatti, che fa dimenticare alcuni menu fissi che siamo abituati a mangiare, invariabilmente, che sia gennaio o che sia agosto, in alcuni dei più noti fast food. Si può scegliere di accompagnare il piatto principale con una piccola insalata e con una ciotolina di zuppa di miso (un brodo derivato da una base di una pasta di fagioli di soia, acqua e sale marino, in cui galleggiano pezzettini di tofu e di verdure), da sorseggiare durante il pasto. Per quanto riguarda le bevande, invece, tè verde e acqua sono gratuiti: ci si serve da soli tutte le volte che se ne ha bisogno, ad eccezione del primo bicchiere di tè, che solitamente viene offerto al tavolo in segno di benvenuto.

Molti nomi sono legati a una particolare portata principale: si punta alla qualità di ciò che si mangia, e per poter vendere prodotti genuini e sani a un prezzo contenuto, inevitabilmente ci si specializza in alcuni piatti. Pochi ma buoni, per dirlo con una sintesi chiara ed efficace. Di questa categoria fanno parte “Tenya”, in cui si serve la prelibata frittura di vegetali, gamberi e calamari (tempura) sempre rigorosamente su un letto di riso bianco, e “Curry House”, dove potrete trovare diverse versioni del kare-raisu, ovvero il connubio fra l’immancabile riso e una profumatissima crema di curry. Per gentile concessione dei ristoratori solo in questa occasione troverete accanto al piatto anche un cucchiaio: i giapponesi non faranno scarpetta come noi, ma di un pasto talmente squisito non lasciano minima traccia, e per farlo in questo caso le bacchette non bastano.

Meno diffusa di quelle appena citate, non poteva certo mancare la catena dedicata esclusivamente al sushi. Si chiama Kappa-zushi, è meno economica delle altre ma chiaramente più abbordabile di un ristorante “vero”. Accanto ai Mac, poi, ci sono le altre multinazionali occidentali, da Burger King a Kentucky Fried Chicken fino a Starbucks, per la colazione o una pausa dolce che fa contenti sia i nativi d’Oriente che gli stranieri (gaijin): è sempre strapieno.

A proposito di gaijin, i più nostalgici di casa – prendiamo il caso di noi italiani – possono scegliere uno dei “family restaurant” con un nome familiare, per esempio “Gusto” (ma se dovete chiedere informazioni, potrebbe servirvi sapere che da quelle parti si pronuncia “gàsuto”): qui accanto al pollo fritto (pollo karaage), troverete anche pizza, spaghetti, curry indiano, patatine fritte, dolci e gelati: di tutto un po’. Se doveste trovarvi proprio in crisi d’astinenza da cibo italiano, l’ultima spiaggia – ma prendetela con ironia – è “La pausa”, catena di ristoranti italiani presente nelle maggiori città del Giappone, in cui ci si dedica al tabehoudai di pasta e pizza. Cioè? Avete due ore di tempo per ordinare e consumare tutto quello che volete. Sì, anche dieci pizze e dieci piatti di spaghetti a testa. Il prezzo? Corrisponde a circa venti euro, yen più yen meno. La qualità? Noi vi consigliamo di spendere meno e mangiare meglio. Quindi: in Giappone mangiate giapponese, se potete concedetevi un ristorante chic una volta, ma per il resto della vacanza scegliete pure i fast food, a occhi chiusi.

di Irene Privitera

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