“Avevo 13 anni e per me la mafia era un male lontano, a Palermo, che toccava chi faceva una vita criminale. Non avevo idea che bastasse essere onesti per diventare un loro bersaglio”. Flavia Famà racconta con dignità la sua storia. A Latina partecipa al raduno nazionale dei giovani di Libera, dove si trova un bene confiscato alle mafie ed è dedicato al padre. Flavia è la figlia di Serafino Famà, avvocato ammazzato dalla mafia, il 9 novembre 1995, semplicemente per aver fatto il proprio dovere. “Se ti comporti con onestà e coraggio – ripeteva sempre – non devi avere paura di nulla” e con coraggio Serafino suggerì alla sua assistita Stella Corrado, amante del boss Giuseppe Di Giacomo, di non deporre a suo favore e Stella così fece. In questo modo l’avvocato Famà ostacolò la scarcerazione del boss firmando la propria condanna a morte.

Una delle tante vittime di mafia di cui facilmente dimentichiamo nomi e storie come il giornalista Beppe Alfano, l’albergatore Carmelo Iannì, l’urologo Attilio Manca, (anche se la storia in questo caso non ha mai avuto una verità giudiziaria) in un Paese in cui parole e azioni “normali”, spesso, diventano veri e propri atti rivoluzionari che trasformano, loro malgrado, gente comune in eroi.

Eravate pronti ad una simile tragedia?
“All’inizio si è pensato di tutto, anche perché con il fare battagliero di mio padre poteva essersi inimicato davvero chiunque. Per anni non ne ho parlato, anzi evitavo ogni discorso sulla mia terra che potesse anche lontanamente portare ad una riflessione sulla criminalità e sulla mafia. Seguivo solo il processo contro gli assassini di mio padre, perché volevo vederli in faccia dietro le sbarre dell’aula bunker del carcere di Bicocca e volevo che vedessero me, i miei occhi, il mio dolore, il mio non avere paura di loro. Finito il processo, divenuta maggiorenne, ho lasciato la mia terra convinta di poter ricominciare lasciandomi tutto alle spalle e così ho fatto fino a quando non ho incontrato altri familiari di vittime innocenti di mafia. Era marzo del 2005 e Libera aveva scelto Roma per la giornata della memoria e dell’impegno. Lì ho conosciuto Rita Borsellino, Viviana Matrangola, Stefania Grasso e tanti altri. Incontrare i loro occhi ed ascoltare i loro racconti di sorella e di figlie mi ha fatto uscire le lacrime che tenevo dentro da quasi dieci anni. Qualcuno poteva capire cosa provassi, non ero più sola”.

Cosa ti ha spinto a raccontare la tua storia ai raduni di Libera e ai ragazzi nelle scuole?
“Mi sono serviti altri ’21 marzo’ e altri incontri per poter raccontare ai ragazzi la storia di mio padre, di un uomo giusto che faceva semplicemente il proprio lavoro con onestà e con coraggio. Ogni volta che racconto di lui, di come e perché è stato ucciso, per me è come rivedere ogni singola scena, è rivivere quegli attimi, quei giorni, quegli anni e mi fa rabbia pensare che ho potuto trascorrere al suo fianco solamente 13 anni e  altri 17 senza di lui. Ciò che mi dà la forza di continuare a raccontare sono i ragazzi, la convinzione e la speranza che noi tutti possiamo fare qualcosa per migliorare la nostra società, per renderla più vivibile e più giusta. Ognuno di noi può e deve dare il proprio contributo ed è quello che cerco di fare io. Chissà magari dopo aver ascoltato la mia storia, dopo aver visto i miei occhi o quelli di altri familiari, qualcuno di loro ci penserà due volte prima di scendere a compromessi”.

Ci racconti il tuo impegno con l’associazione Libera?
“Se oggi sono riuscita a trasformare il mio dolore in impegno è grazie a Libera. Come tanti altri familiari e volontari vado nelle scuole, nei campi di volontariato, nelle piazze per parlare alla gente, per dire che un’altra via c’è, che bisogna stare attenti perché la vera forza della criminalità sta nel consenso della gente che per timore o per indifferenza si rende complice. Bisogna essere sentinelle nei propri territori perché la mafia non è più soltanto quella che fa gli omicidi eccellenti o i grandi traffici, ma è quella che insidia negli appalti e nei “salotti bene”. È una mafia imprenditoriale e transnazionale, per questo Libera da anni ormai ha creato una rete internazionale Flare (Freedom legality and right in Europe) e Alas (America latina alternativa social), attraverso le quali si studia la situazione criminale nel resto del mondo e si cerca di fare rete con quelle realtà territoriali che lottano quotidianamente”.

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