“Non è la ricerca di una verità purchessia. In un film più che la “verità”, io penso debba esserci la vita”. 8 agosto 1991: una nave con 20mila persone e 10mila tonnellate di zucchero a bordo attracca nel porto di Bari. Viene dall’Albania, si chiama Vlora. Sono passati 21 anni, la maggior parte di quei “passeggeri” vennero rispediti in Albania, ma gli sbarchi continuarono, e oggi gli stranieri nel nostro Paese sono 4 milioni e mezzo.

E’ dunque un ritorno alle origini il doc di Daniele Vicari La nave dolce, scritto con Benni Atria e Antonella Gaeta, musicato da Theo Teardo, fuori concorso a Venezia 69. Interviste fotografate da Gherardo Gossi  a protagonisti e testimoni sulla Vlora e a terra, tra cui il ballerino Kledi Kadiu, Eva Karafili, Domenico Stea, Robert Budina, e soprattutto materiale d’archivio, perché – dice Vicari – “è la profezia di Zavattini: negli rachivi giacciono immagini impazienti di prendere vita”.

E vita la prendono, ritrasportandoci tra le urla “Italia, Italia”, le mani alzate in segno di vittoria, i tuffi per raggiungere la banchina: l’inizio di una fine, quella della politica chiamata a presiedere i diritti socio-civili. Da lì in poi, culmine al G8 di Genova, la gestione dell’ordine pubblico salirà in cattedra, schiacciando tutto il resto: La nave dolce approda, dunque, a Diaz, progetto a cui Vicari ha lavorato in parallelo, uscito in sala poco tempo fa dopo il premio del pubblico a Berlino. Sono due gemelli, che cercano la verità storica ma senza accanimenti terapeutici: emozione, indignazione, speranze e futuro tradito.

La nave che imbarcò la storia: la nostra. Il nostro rifiuto, l’altrui rimpatrio. Rimpianto civile quello di Vicari, e memento politico: il cinema dunque fa il suo, e la politica? Il governo e il presidente della Repubblica Francesco Cossiga allora fecero una magra figura, ovvero impreparata e inumana, con lo stadio Vittoria che si sostituì alla nave come proto-Cie: la Vlora oggi è tornata, la nostra politica non se n’è mai andata. Purtroppo. Sotto a chi tocca…

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