Sono oltre sessant’anni che in Colombia infuria una feroce guerra civile.La fondazione delle Farc avvenuta negli anni Sessanta e sancita dalla storica battaglia di Marquetalia, ha costituito uno degli eventi più importanti in questo ambito. Questa formazione guerrigliera, presente e radicata in taluni strati sociali, specie contadini, è arrivata a controllare oltre un terzo del territorio nazionale. La nascita della guerriglia ha costituito una risposta, probabilmente inevitabile, alla violenza storicamente esercitata dalle classe dominanti, che fra le altre cose avevano liquidato il candidato presidenziale che avrebbe vinto le elezioni del 1948, Jorge Eliécer Gaitan.

Nel frattempo sono stati fondati e sciolti altri raggruppamenti politico-militari,come soprattutto l’M-19, il cui rientro nella legalità, alla fine degli anni Ottanta, ha coinciso con il varo dell’ultima Costituzione colombiana del 1991, non priva di aspetti e spunti interessanti. 

Il tentativo, che risale più o meno a quest’epoca, di numerosi quadri della sinistra di dar vita a una formazione legale, l’Unione patriottica, è stato frustrato con oltre tremila uccisioni,fra cui tutti i candidati alla Presidenza e vari parlamentari e sindacalisti.

Anche la controffensiva organizzata dalla presidenza di Uribe, dopo il fallimento dei negoziati di pace fra governo e Farc alla fine degli anni Novanta, è stata marcata da gravissime violazioni dei diritti umani. La cosiddetta seguridad democratica è stata in realtà imperniata sull’azione di bande di assassini e delinquenti, i cosiddetti paramilitari che, per prosciugare il bacino di consenso delle Farc si sono macchiate dei peggiori delitti, la cui responsabilità risale allo stesso Uribe, che andrebbe al più presto sottoposto al giudizio della Corte penale internazionale.

Nonostante alcuni gravi colpi subiti negli ultimi anni, le Farc continuano ad essere un attore politico-militare di cui tener conto. La guerriglia colombiana rappresenta al tempo stesso un grave fattore di anacronismo e andrebbe superata per dar vita a un nuovo quadro politico suscettibile di mettere finalmente in archivio l’insensata guerra fratricida e consentire al popolo colombiano un avvenire migliore.

Per questo è motivo di soddisfazione e speranza l’annuncio, fatto in contemporanea dal governo colombiano e dalle Farc, dell’avvio di nuovi negoziati di pace all’Avana, sotto l’egida di Cuba,Venezuela e Norvegia. A tali negoziati parteciperà anche l’altra formazione guerrigliera tuttora operante, che è l’Eln. Si tratta indubbiamente di un grande successo della nuova America Latina e in particolare del presidente Chavez, che ha saputo operare con accortezza e intelligenza. Rientrare a pieno nel processo di integrazione sociale, economica e politica latinoamericana, è preciso interesse della Colombia,del suo popolo, ma anche del suo governo e dei suoi settori imprenditoriali più dinamici e meno compromessi con l’oligarchia uribista dei latifondisti e narcotrafficanti. In quest’ottica può essere letta anche l’importante proposta di legalizzazione della droga, formulata dal presidente colombiano Santos,che toglierebbe senza dubbio spazio e potere alle mafie di tutto il mondo.

Forze oscure, legate a questa oligarchia, ma anche ai settori più retrivi dell’imperialismo statunitense, tenteranno in ogni modo di sabotare questo vitale processo.

Per questo è importante fare tesoro delle esperienze del passato e comprendere fino in fondo due cose.

Primo, la pace non potrà essere negoziata nel chiuso di qualche stanza, ma necessita della mobilitazione e dell’apporto entusiasta di tutto il popolo colombiano. Ciò è stato compreso a pieno da tutte le forze sociali, primi fra tutti gli indigeni, che si sono mossi con coerenza, e pagando un ennesimo prezzo di sangue, per dire basta alla guerra, come ho ricordato in un mio recente post

Secondo, è necessario un ampio programma di riforme economiche e sociali e un’affermazione piena della democrazia a tutti i livelli. La pace, quindi, non è affare esclusivo dei guerreggianti, ma deve vedere, per affermarsi, una partecipazione intensa e organizzata di tutta la società civile in lotta per l’affermazione dei propri diritti e un sistema più egualitario. In particolare, in Colombia ciò significa limiti precisi ai poteri dei latifondisti e a quelli delle multinazionali.

Più che mai si invera, insomma, l’affermazione secondo la quale la pace non è mera assenza di guerra, ma richiede il concorso di una serie di condizioni in termini di realizzazione dei diritti umani di ogni genere.

Questa è la strada da seguire. Sul cui percorso la Colombia potrà indubbiamente giovarsi del sostegno vigile e fattivo degli altri Paesi latinoamericani. Occorre augurarsi che anche l’Europa sappia dare un suo contributo alla pace.

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