Dimenticare Geronzi, Cesare Geronzi. Mica facile. Il banchiere politico (o politico banchiere?) è formalmente in pensione ormai da più di un anno, da quando nella primavera del 2011, il numero uno di Mediobanca, Alberto Nagel, gli recapitò il foglio di via dalle Assicurazioni Generali. Il geronzismo, però, che è quasi una categoria dello spirito, non ha mai smesso di aggirarsi nelle stanze del capitalismo nazionale. C’è attesa per un libro, in uscita (si dice) nelle prossime settimane che dovrebbe svelare al mondo la versione di Cesare sui fatti recenti, e meno recenti, della finanza nostrana.

E qualcuno, i soliti maligni, crede di vedere il sorrisetto soddisfatto dell’ex patron di Capitalia accompagnare i recenti incidenti di percorso (avviso di garanzia compreso) di quel Alberto Nagel che organizzò il ribaltone alle Generali. Il fatto singolare è che l’ex presidente può seguire le disavventure del suo rivale proprio da un ufficio gentilmente messogli a disposizione dalla compagnia di Trieste. Già, perché quando Geronzi, classe 1935, lasciò il vertice del gruppo assicurativo gli fu garantita una buonuscita di 16,6 milioni di euro (per circa 11 mesi di lavoro). E in aggiunta ottenne la presidenza della Fondazione Generali, con tanto di principesco ufficio presso la sede dell’ente nella centralissima Piazza Venezia a Roma.

Un articolo pubblicato ieri dal Corriere della Sera ci informa che dopo 15 mesi di faticose trattative il gruppo assicurativo è riuscito a organizzare il trasloco dell’autorevole inquilino. Gli uffici di Piazza Venezia tornano a tutti gli effetti nella disponibilità delle Generali, mentre la Fondazione si deve accontentare (si fa per dire) di 300 metri quadrati dalle parti di Via XX Settembre, sempre in pieno centro di Roma. Tutto bene. Solo che, incredibile a dirsi, il gruppo assicurativo, proprietario di un gigantesco patrimonio immobiliare nella capitale, non è riuscito a trovare, tra i suoi palazzi, una sistemazione adeguata all’ex presidente. La soluzione? Semplice: la Fondazione va in affitto.

Paga la compagnia, cioè i suoi azionisti, grandi e piccoli. Domanda supplementare: che cosa fa la Fondazione Generali? Di preciso non si sa. O meglio non si ha notizia di iniziative finanziate dall’ente presieduto da Geronzi, che, in base allo statuto, “persegue fini di utilità sociale nei settori della ricerca scientifica, della formazione, dell’arte, della sanità, dell’assistenza alle categorie sociali deboli, della conservazione e valorizzazione dei beni e delle attività culturali nonché dei beni ambientali”. Vasto programma, vien da dire. Nulla però è mai stato comunicato all’esterno a proposito delle attività realizzate o finanziate dalla Fondazione, che, caso più unico che raro di questi tempi, non ha neppure un sito internet.

Di certo, Geronzi ha sempre dimostrato grande interesse per questa istituzione. Nei mesi del suo mandato a Trieste, il banchiere ha rivoluzionato lo statuto dell’ente, a cui sono stati assegnati nuovi fondi e nuovi compiti. A fine 2010, quattro mesi prima del ribaltone, Geronzi ha anche fortemente voluto la creazione di un comitato scientifico della Fondazione in cui sono stati chiamati come consiglieri alcuni vecchi amici del banchiere, come i giuristi Agostino Gambino e Giuseppe Guarino. La poltrona di presidente onorario è stata assegnata all’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio.

Per i membri del comitato scientifico, a differenza dei componenti del consiglio della Fondazione (di cui fanno parte presidente e amministratore delegato delle Generali) , è previsto oltre al rimborso spese anche “l’attribuzione di un gettone di presenza”. Età media del consesso (nove membri in tutto) 76 anni e mezzo. Come dire, l’esperienza non manca.

Da Il Fatto Quotidiano del 1 settembre 2012

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