Trovo che la polemica tra Bersani e Grillo sia più noiosa di un presepe vivente. Nel corso del duello, però, il segretario del PD ha tirato fuori un paio di spunti piuttosto interessanti. Il primo è la buffa abitudine di considerare “il web” come un soggetto fisico. Non è il solo a considerarlo tale. Sono tanti i commentatori, i politici e addirittura i giornalisti che sembrano condividere questa visione. Il web: una specie di creatura mitologica che assiste e partecipa alle umane vicende appollaiata su un remoto e immateriale piedistallo. Da lì il web pensa, giudica, si irrita, insorge… addirittura si ritrova ad avere avversari e alleati.

Questa strana creatura è diventata la vera ossessione dei politici nostrani, troppo assuefatti alle semplificazioni da talk show per rendersi conto che quello che loro chiamano “web” non è altro che una vecchia conoscenza della democrazia. Si chiama “opinione pubblica” e secondo qualcuno avrebbe addirittura un effetto benefico sulla società. Mi sento di tranquillizzarli. È una cosa normale. In altri paesi si dà addirittura per scontato che esista. Ciò che nell’Italia del 2012 può risultare sorprendente (e per alcuni un po’ irritante) è che queste persone attaccate ai loro computerini riescano addirittura  ad avere voce, a esprimersi, a criticare e a protestare senza dover aspettare un invito di Bruno Vespa. Rassegnatevi: succede da anni. Ve ne siete solo accorti, come al solito, in ritardo.

Appurato che la rete non ha un’identità e una coscienza, ma è solo uno strumento di comunicazione un po’ più orizzontale degli altri, i problemi non finiscono. Dalle dichiarazioni di Bersani scopriamo che c’è la necessità di “lavorare per una risposta civica (a certi linguaggi ndr) nella rete”. Scopriamo anche che la rete “deve diventare un luogo vero di democrazia, di libertà (… ) con dei meccanismi che garantiscano un livello di civilizzazione della discussione”.

Premetto che quando sento parlare di “meccanismi” applicati a Internet mi riempio di macchie rosse sulla pelle. Per fortuna, si tratta di uno strumento difficile da controllare. La rete è fuori da quel sistema di pesi e contrappesi che consentono di mantenere la discussione là dove si vuole che sia. Sul web non basta fare quattro telefonate alle redazioni giuste per cancellare un argomento dal dibattito. Non esistono scalette costruite a tavolino, interventi di sondaggisti per cambiare argomento e spot pubblicitari per troncare la discussione.

Ma guardando al desolante panorama dell’informazione in Italia, viene da chiedersi anche qualcos’altro. Ovvero: quale sarebbe, di grazia, il modello di civilizzazione a cui riferirsi? Gli edificanti siparietti televisivi in cui i parlamentari strillano come galline per sovrastare la voce dell’avversario? I sobri titoli di alcuni quotidiani che vediamo occhieggiare dalle edicole? I  misurati affondi che gli editorialisti irreggimentati dai partiti usano come una clava sui critici e i giornalisti rei di aver posto domande scomode ai loro datori di lavoro? O abbiamo altri esempi a cui attingere per dare alla nostra maleducata rete le giuste dosi di democrazia, civiltà e libertà?

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