Una sanatoria, più per regolarizzare i datori di lavoro italiani che non i lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno. Secondo le stime di industriali e sindacati potrebbe interessare circa 360mila stranieri oggi in nero: solo qualche anno fa avrebbe scatenato uno scontro furioso, ma oggi, in piena era Monti, quasi non se ne parla. Eppure è la prima dal 2009, e quella volta il governo Berlusconi-Bossi scelse di aprirla soltanto a colf e badanti. Questa “edizione”, invece, è per lavoratori di ogni settore, a patto che siano impiegati a tempo pieno (per colf e badanti basta un part time, ma da un unico datore di lavoro).

Quella che sarà aperta dal 15 settembre al 15 ottobre è in effetti una sanatoria molto montiana. Innanzitutto perché porterà parecchio denaro alle casse pubbliche. I datori di lavoro che impiegano manodopera extracomunitaria in nero devono sborsare mille euro per ciascun lavoratore che vogliono regolarizzare, solo per poter presentare la domanda. E poi almeno sei mesi di contributi previdenziali. Dato che la sanatoria si rivolge per lo più a lavoratori full time, si parla di cifre che per l’industria e l’edilizia possono arrivare a 14mila euro. Neanche un euro sarà restituito in caso di richieste respinte. Sono inclusi gli imprenditori stranieri, se in possesso di permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo.

Di sapore montiano anche l’origine del provvedimento, adottato con un decreto del 16 luglio in seguito all’entrata in vigore di una direttiva europea, la 52 del 2009, che contiene norme severe contro chi impiega o sfrutta il lavoro di immigrati stranieri irregolari. Da qui la scelta del governo di concedere agli imprenditori allergici ai contratti scritti una chance di mettersi in regola prima di incorrere nel rigore delle nuove leggi. Insomma, un’opportunità per gli immigrati, ma soprattutto un modo per fare emergere almeno una piccola quota della vasta economia sommersa italiana, che sottrae risorse al fisco e alla previdenza. Da notare che, secondo il decreto, la sola presentazione della domanda basta a cancellare ogni illecito, amministrativo e penale, anche se poi la pratica non dovesse andare a buon fine.

Tutti contenti, allora? Non proprio. Perché sulla carta tutti i costi – la domanda e il versamento dei contributi – gravano sulle tasche dei datori di lavoro. Ma ci saranno davvero così tanti imprenditori disposti a sborsare diverse migliaia di euro per mettere in regola i propri dipendenti, per di più in tempi di crisi nera? Il timore già espresso dalle associazioni impegnate sui diritti dei migranti è che alla fine a metter mano al portafoglio saranno i lavoratori stranieri, con ben poche possibilità di controllo. Non solo. L’esperienza delle sanatorie passate insegna l’esistenza di un diffuso mercato illegale delle regolarizzazioni: l’immigrato consegna qualche migliaio di euro a personaggi disposti a presentare la domanda anche in mancanza dei requisiti, e spesso i soldi spariscono senza che arrivi l’agognato permesso di soggiorno. Non a caso il Naga di Milano, storica associazione che ai migranti offre molti servizi gratuiti, compresa l’assistenza medica, apre la sua pagina web sull’argomento con un avvertimento in grande evidenza: “Sanatoria sì, truffa no”.

Per capire l’esatto funzionamento della sanatoria montiana bisogna aspettare la pubblicazione degli ultimi decreti attuativi. Ma già emergono punti delicati. Lo straniero deve dimostrare di trovarsi in Italia ininterrottamente almeno dal 31 dicembre 2011 presentando un qualunque documento emesso da “un organismo pubblico”. Non è semplice e spalanca le porte al paradosso. Per molti il biglietto d’ingresso per la regolarità potrà essere una multa, una denuncia penale, una condanna per reati minori, persino un provvedimento di espulsione. Che infatti non costituisce un ostacolo alla presentazione della domanda, se è stato emesso solo per ingresso o soggiorno illegale senza aggravanti di ordine pubblico o terrorismo.

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