Nel momento in cui scrivo questo post i commenti presenti sui blog del sito del Fattoquotidiano che stanno sulla homepage del giornale sono la bellezza di tremiladuecentosei. Tremiladuecentosei commenti suddivisi in quaranta post (tanti sono quelli ospitati sulla homepage): ciò significa che ogni post raccoglie in media ottanta commenti. Questo dato però copre una realtà molto eterogenea, poiché alcuni post raccolgono parecchie centinaia di commenti, altri pochissimi o nessuno. Ciò vuol dire che alcuni post sono migliori di altri? No di certo. Non è un criterio quantitativo che fa la qualità di un articolo di giornale, di un libro o di un post, nemmeno un eventuale criterio legato a pollici alzati, a like o a numero di fan sulla pagina di un social network. Del resto se dovessi giudicare la qualità con parametri quantitativi dovrei dire che la stampa scandalistica è migliore delle riviste di nicchia o che un libro di Bruno Vespa è migliore di un libro di filosofia, o ancora che il fast food è migliore dello slow food…

Invece, quello che mi interessa è capire un fenomeno che caratterizza – quello sì – il sito del Fattoquotidiano, ovvero l’altissima partecipazione dei lettori. Partecipazione che si può anche misurare in termini di accessi (qualche tempo fa il direttore del giornale indicava in 500mila i visitatori unici giornalieri, fenomeno abbastanza unico per un giornale che esiste da tre anni), ma che soprattutto è segnata da una intensa interattività dei lettori, i quali commentano moltissimo non solo i post dei blogger ma anche gli articoli del sito. E’ una partecipazione che non ha eguali in altri siti, nemmeno in quelli molto consultati. Perché i lettori del Fattoquotidiano.it partecipano così intensamente? C’è certamente la facilità allo scambio indotta dall’abitudine alla socializzazione virtuale.

Ma all’origine di questa domanda di partecipazione intercettata dal Fattoquotidiano credo ci siano altri due fattori. Da un lato un bisogno antico, radicato nella cultura di sinistra, alla quale in un modo o in un altro il giornale fa riferimento: il bisogno di confrontarsi per mettere alla prova le proprie convinzioni, o anche per cercarle, per misurarle, per metterle a punto. La scomparsa di tutti i luoghi classici dell’elaborazione del pensiero di sinistra (dalle sezioni del Partito Comunista alle Case del Popolo, su su fino ai circoli del cinema o ai club più esclusivi, tipo la casa editrice Einaudi vecchia maniera) ha lasciato un vuoto che il Partito Democratico non ha mai ritenuto necessario colmare: è impressionante in questo senso la chiusura del Pd al dibattito autentico, inteso come luogo di coinvolgimento partecipante della gente di sinistra. Ed è singolare la distanza antropologica e culturale di quel partito dall’esperienza di partecipazione dei lettori di questo sito.

Dall’altro lato c’è invece un bisogno molto contemporaneo di elaborare collettivamente idee nuove in forme nuove, o che cercano di essere tali: qui più che la matrice di sinistra gioca invece l’influenza dell’innovazione introdotta – sia pure con zone tuttora oscure, come mostrano le recenti vicende emiliane – dal Movimento 5 Stelle. La cui fortuna è stata favorita proprio dall’affievolirsi della partecipazione dal basso nei partiti tradizionali (o dalla sua totale assenza nei partiti del berlusconismo).

Invece di fotografare il segretario in compagnia delle cuoche della sua festa di partito, il Pd potrebbe riflettere su questo bisogno di partecipazione della gente di sinistra, mai come ora orfana del tempo delle idee.

C'era una volta la Sinistra

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