Guiderai con dolore, e il pieno lo pagherai caro e lo pagherai tutto. Maledizioni bibliche fulminano gli automobilisti di ritorno dalle ferie. E non bastasse il prezzo della benzina verde sopra il tetto psicologico dei due euro, arriva la beffarda nota del ministero dello Sviluppo economico. Non ci possiamo lamentare, dicono gli esperti di prezzi del ministro Corrado Passera: “L’aumento del prezzo alla pompa nel nostro Paese è stato nettamente inferiore all’aumento sui mercati internazionali”. I prezzi sopra i 2 euro sono eccezioni, e, sentenzia il governo, “l’attenzione posta in questi giorni sulle punte di prezzo registrate in alcune aree di servizio rischia anzi di fornire un alibi per effetti imitativi”. Colpa dei tg, insomma, se sale la benzina.

E comunque poteva andare peggio. Da giugno i prezzi internazionali dei carburanti (calcolati dalla compagnie petrolifere) sono cresciuti del 22 per cento per la benzina e del 18 per cento per il gasolio, mentre in Italia il prezzo alla pompa è salito del 4 per cento. Secondo il governo (e secondo l’Unione petrolifera che poco prima aveva diffuso analoga nota), le compagnie italiane sono state virtuose (ascoltando la moral suasion dei ministri tecnici) e da maggio a oggi avrebbero più che dimezzato i propri margini. Grazie al loro sacrificio, dunque, si è sentito meno l’effetto dei cinque aumenti consecutivi delle tasse sui carburanti (accise e Iva) decise dal governo Monti.

L’Assopetroli, che associa imprese di distribuzione, si è insospettita. Chiede al governo di abbassare le accise come è stato deciso in Francia, e si augura che oggi il Consiglio dei ministri non decida – come indicato da voci ricorrenti – un nuovo aumento della pressione fiscale sui carburanti.

Ce ne sarebbe abbastanza per decidere di lasciare l’auto in garage (per chi possiede vettura e box) se non fosse che ormai la fuga dalle quattro ruote ha assunto un carattere strutturale che solo in parte ha a che fare con l’accanimento fiscale di cui il settore è vittima. Sempre più l’auto appare “roba del secolo scorso”, come il settimanale l’Espresso ha titolato un’inchiesta di Emiliano Fittipaldi.

L’auto è sempre meno uno status symbol, chi va in giro con il macchinone rischia automaticamente di essere preso per un evasore fiscale o un malavitoso. Il viaggio in auto è diventato sempre meno piacevole con il passare degli anni. Strade trafficate, autostrade perennemente occupate dai cantieri infiniti, città impenetrabili e parcheggi introvabili provocano anche nei più incalliti appassionati del volante una crescente voglia di treno. C’è poi il problema dei giovani. Tra il 2005 e il 2010 le vendite di auto tra gli under 29 sono calate di oltre il 28 per cento. In Sardegna e Calabria si sono dimezzate. Pesa la crisi economica, certamente, soprattutto quella specifica delle nuove generazioni: avere un lavoro che ti consente di pagare le rate dell’auto prima dei trent’anni diventa sempre più raro. Ma cambia anche il modello culturale. Il giovane benestante che deve festeggiare la laurea si fa finanziare un viaggio esotico con volo low cost, e non gli passa neppure per la testa di fare come suo padre, che si fece regalare l’auto con cui organizzare un estenuante giro per le capitali europee. I dati del mercato non danno scampo. L’auto è un prodotto che non tira più.

Nel primo semestre del 2010 i consumi di carburante sono calati del 10 per cento rispetto a un anno prima. Girano meno le merci, naturalmente, ma anche i privati usano meno l’auto per gli spostamenti, e non solo per il caro benzina. In generale l’auto è diventato un mezzo più costoso e stressante che in passato, e subisce la concorrenza di altre modalità: treni ad alta velocità, dove ci sono; oppure voli low cost per le distanze più lunghe, accoppiati magari al noleggio di un’auto a destinazione , visto che il pacchetto risulta spesso più conveniente. D’altra parte il taglio dei chilometri percorsi appare l’unico modo di salvarsi dal caro benzina, visto che a una riduzione del 10 per cento dei litri consumati corrisponde una crescita del 9 per cento degli euro spesi dal benzinaio, soprattutto a causa della pressione fiscale: il gettito delle accise e dell’Iva è infatti aumentato nello stesso periodo del 18,6 per cento.

E così passa la voglia di cambiare l’auto. Nel mese di luglio sono state vendute in Italia 108 mila vetture, il 21 per cento in meno delle 137 mila immatricolate nel luglio 2011, che a loro volta erano il 12,7 per cento in meno del luglio 2010. Era dagli anni ’70 che non si vendevano così poche auto. Chi ce l’ha pensa a farla durare. E almeno per un po’ gli unici a guadagnarci saranno i meccanici.

Da Il Fatto Quotidiano del 24 agosto 2012

Articolo Precedente

Autostrade, più spendono più guadagnano

next
Articolo Successivo

Fisco, i capitali occulti dei nababbi valgono più del Pil di Usa e Germania

next