Il “turismo carcerario” dei politici, nei mesi estivi, paradossalmente può essere più proficuo se travalica la norma che lo regola, infatti tanto scalpore ha creato la visita fatta al detenuto Provenzano dal deputato europeo Sonia Alfano e dal senatore della Repubblica Beppe Lumia. I due politici, durante la loro visita, hanno consigliato al “detenuto eccellente” di fidarsi dello Stato e con un atto di pentimento giudiziario fare luce su 50 anni di storia di mafia in Sicilia. Questo è quello che abbiamo saputo della loro visita, ma niente è stato pubblicato sulle condizioni fisiche del detenuto e lo stato in cui versa il carcere nel quale è recluso. Colpa del giornalista che ha scritto l’articolo? Chissà. Credo che dovremmo far circolare più informazioni di come si vive in carcere, di come un detenuto “anonimo” vive in carcere, di come ogni attività che i Direttori riescono a realizzare, con i mezzi che hanno, serve ad interrompere l’apnea della detenzione, si, perché seppur necessaria, in alcuni casi, la detenzione è un’apnea.

Può un’ istituzione dello Stato, come il carcere, creato per la rieducazione del reo, fare morti quanto la criminalità comune o la criminalità organizzata? Negli ultimi dodici anni 2000-2012, 2033 detenuti sono morti in carcere per incidenti o suicidi; la criminalità organizzata nello stesso periodo ne ammazza 1379 mentre 593 sono vittime della criminalità comune (dati dell’osservatorio delle morti in carcere).

Ma questi detenuti erano stati condannati a morte o ad una pena rieducativa e riabilitativa che li avrebbe riconsegnati alla società pronti per riprendere il percorso rovinato da un reato che a sua volta aveva cambiato o addirittura distrutto la vita di altri?

Tra un bagno e l’altro, tra una bibita rinfrescante e una lettura di un settimanale di gossip sotto l’ombrellone, pensiamo a cosa possiamo fare affinchè tutto questo continui a non accadere più. Bastava poco per non far morire Costa Ngallo di 50 anni (pena residua 4 anni) o Chennj Rhee He di 48 anni (pena residua 10 mesi), entrambi morti perché nessuno gli ha offerto un luogo dove poter scontare la loro pena in maniera alternativa fuori dal carcere.

Si spendono centinaia di milioni di euro per finanziare associazioni per progetti che servono a loro stesse anziché finanziare o potenziare strutture ed enti che si occupano di detenuti. Prendersi cura di chi ha commesso un reato, qualsiasi esso sia, non significa dimenticare le loro vittime con i loro familiari, sino a quando questo concetto non sarà compreso da tutti non ci saranno carceri migliori, allora “ammazziamoli tutti”.

Articolo Precedente

Farmacie comunali: volontà di smantellarle?

next
Articolo Successivo

Percezione selettiva: i pensieri che ci condizionano

next