In queste settimane Obama ha aumentato il numero di contatti e colloqui con i leader europei chiedendo l’attuazione di misure urgenti per tenere a freno spread e speculazione.

In Italia si discute da mesi di regole, leggi elettorali, riforme, senza arrivare mai a nulla: la legislatura finisce fra pochi mesi, insieme al mandato del Presidente della Repubblica.

In Germania, aspettando che la Corte Costituzionale si esprima sul fondo salva-Stati, Angela Merkel cerca di non mollare di un millimetro le sue posizioni: fra un anno dovrà chiedere ai tedeschi i voti per essere riconfermata. 

Tensioni analoghe sono state presenti anche in altri paesi come la Grecia, dove sembrava che il voto potesse decidere il destino del paese (ma oggi, come ieri, si parla del paese ellenico fuori dall’Euro: a nulla o quasi è servito votare i partiti tradizionali), o in Francia, dove la retorica elettorale ha posto Sarkozy in contrapposizione con Hollande, con il secondo che sembrava dovesse distruggere tutti i piani franco-tedeschi (ma così, evidentemente, non è: lo spread tra l’altro continua a essere sotto quota 100).

Tutte queste storie, e gli stili di leadership che ne conseguono sono accomunate da un comune dettaglio: sono condizionate dalle imminenti elezioni.

Obama sarà certamente preoccupato, da statista, per le sorti del Vecchio Continente. Ma è certamente più preoccupato dai rischi per l’economia statunitense, dai dati sulla disoccupazione, dal cambiamento in negativo di variabili di politica interna decisivi per la sua rielezione (si vota il 6 novembre).

In Italia tutto è strettamente correlato: chi si candida? Con quale legge elettorale? Con quali coalizioni? Chi va al Quirinale? Dove prende i voti per andarci? La correlazione tra variabili è il motivo per cui nulla si muove (o, perlomeno, un’ottima scusa per non fare nulla).

Angela Merkel deve mantenere un equilibrio assai difficoltoso tra gli interessi del suo Paese (e del suo elettorato) e quelli del contesto politico ed economico in cui la Germania è diventata ‘la locomotiva europea’. Ricordate statisti europei, negli ultimi anni, che hanno anteposto i bisogni del continente a quelli della propria nazione? Fare la morale alla Cancelliera è veramente dura in questo senso. 

Dentro questo schema che coinvolge i principali Stati del mondo, e di conseguenza i principali centri di decisione politica, si vive con la costante tagliola del consenso, delle elezioni, persino dell’appuntamento locale (soprattutto alle elezioni regionali).

Lo schema, oltre a essere particolarmente odioso, è anche ciclico e diffuso a tutti i livelli. Si vota ogni anno, in ogni luogo, in ogni contesto. Il concetto di campagna elettorale permanente non è tanto una tecnica di comunicazione politica, è semplicemente lo stato delle cose. Pensate anche all’Italia e agli intrecci tra elezioni locali, provinciali, regionali e agli incroci di candidature, aspirazioni politiche, sindaci che appena eletti pensano all’incarico successivo, e così via.

Ma come si possono prendere le decisioni giuste, anche laddove impopolari, in queste condizioni? È giusto che gli italiani debbano accettare una politica di tagli perché in Germania si aspettano le elezioni? E sarebbe giusto che i tedeschi debbano rinunciare a pezzi delle loro conquiste economiche perché l’Italia non ha saputo esprimere una leadership adeguata? E soprattutto è giusto che queste due dinamiche debbano dipendere in parte dalla data delle elezioni in Italia e in Germania e non solo dalle variabili macroeconomiche e dai fondamentali dei due Paesi?

Spostiamoci su scala locale: è giusto che le città, le Province, le Regioni, specie nel secondo quinquennio di governo di un amministratore rieletto, rischino sistematicamente di essere amministrate male o di essere abbandonate a metà mandato perché ci sono altre elezioni e altri obiettivi da raggiungere?

Da questa spirale si esce solo in un modo, almeno in Italia, dove i mandati sono tutti di cinque anni: si vota tutti insieme, tutto insieme. Comuni, Regioni, Parlamento. Magari si può votare in corrispondenza con le elezioni europee. Se lo facesse l’Italia potrebbe essere un buon esempio per gli altri Paesi, che però hanno mandati di durata variabile.

Servirebbe anche una maggiore omogeneità nella durata delle cariche, e successivamente delle leggi elettorali. È sicuramente una riforma dell’architettura istituzionale degli Stati molto complessa, probabilmente è poco più di un’utopia, ma se pensiamo a ciò che accade (e soprattutto a ciò che non accade) per colpa di questo sfasamento perenne delle elezioni, credo che tutto sommato ci si possa provare. 

Se l’area-Euro, l’Europa geograficamente intesa, non può proprio essere un’unione politica, che sia almeno un’unione elettorale.

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