Una settimana fa è scattata la Ligue 1, ieri la Premier League e la Liga, la settimana prossima sarà la volta della Bundesliga e della nostra Serie A. Ripartono i campionati di tutta Europa. Ma mai come oggi è un calcio malato, segnato da debiti sempre più difficili da gestire. L’ultima ad essere esplosa, in ordine di tempo, è la crisi del calcio spagnolo. Che deve allo Stato circa 750 milioni di euro, secondo gli ultimi dati forniti dal Governo. E altri quattro ne deve a banche o istituti creditizi (che poi si rivolgono allo Stato per non fallire, il giochetto è sempre quello). Sono numeri che fanno scalpore, di questi tempi: e infatti si è parlato molto di come gli aiuti dell’Unione Europea siano serviti indirettamente anche a finanziare gli acquisti da parte del Real di Cristiano Ronaldo e Kakà. Ma il problema dei conti in rosso non riguarda solo i grandi club. Dietro è un generale si salvi chi può: oltre 20 squadre sono tecnicamente o concretamente fallite; e dei club della Liga ce ne sono otto che non hanno speso neanche un centesimo quest’estate.

Ebbene sì: la recessione è arrivata anche nel calcio. E anche nel calcio spagnolo, quello milionario e delle agevolazioni fiscali (che infatti non ci sono più, sacrificate sull’altare della crisi dal premier Rajoy). Ma non è solo il sistema iberico a tremare. Il calcio italiano è indebitato per 2,6 miliardi di euro. In Francia, escluso il Psg, si naviga a vista: il Montpellier campione in carica ha venduto la stella Giroud per esigenze di bilancio; mentre l’Olympique Lyonnais, dopo aver dominato per un quinquennio il campionato, è sprofondato in una crisi che è prima economica e poi sportiva. Passando all’Inghilterra, in Premier League ci sono almeno sette club con debiti superiori ai 100 milioni di euro a testa. Nel 2003 è fallito il glorioso Leeds, l’anno scorso è toccato al Portsmouth. Ai Rangers di Glasgow, nella vicina Scozia, è andata anche peggio: bancarotta e retrocessione in quarta divisione per la squadra di calcio più titolata del Paese.

Non è un caso che l’ultima sessione di calciomercato sia stata caratterizzata da un generale clima di austerity. A parte lo shopping quasi compulsivo del Paris Saint-Germain, solo il Chelsea di Abramovich (fior di quattrini per Hazard, Oscar e Marin) e il Manchester United di Alex Ferguson hanno speso parecchio, con i Red Devils che hanno dovuto sborsare 30 milioni di sterline per Van Persie dall’Arsenal, poco meno per Kagawa dal Borussio Dortmund. Le altre hanno combinato poco: il Barcellona ha comprato Song e Jordi Alba, Il Bayern Monaco Javi Martinez, il City solo Rodwell; mentre il Real forse prenderà Modric ma per adesso è ancora fermo a quota zero. Un acquisto per club, seppure.

Che potrebbe anche essere considerato troppo, a guardare i numeri dei passivi. Ma se il Barcellona, il Real e lo United possono permettersi di “dimenticare” i propri debiti (di oltre 500 milioni a testa) e continuare ad operare sul mercato è merito dei loro fatturati “monstre”: 480 milioni annui per il Real Madrid, 450 per il Barça, 370 per il Manchester. E’ qui che fanno la differenza con le “big” italiane: Milan e Inter si fermano intorno ai 200 milioni (con i nerazzurri che peraltro l’anno prossimo dovranno fare a meno dei preziosi introiti della Champions League), più indietro la Juventus (che però dovrebbe beneficiare appunto dei soldi della prossima Champions e dei ricavi dello stadio). Nessuna sorpresa, allora, se le nostre squadre vendono i loro pezzi pregiati, hanno come unico obiettivo quello di snellire il monte ingaggi o inseguono invano i “top player”.

Il panorama del calcio europeo è sconfortante. Ma un’eccezione c’è e si chiama Bayern Monaco: entrate per circa 300 milioni di euro l’anno, soprattutto un bilancio chiuso in attivo. Per la ventesima volta di fila, nonostante in rosa ci siano stelle assolute come Robben e Ribery. E non è certo l’unica squadra “virtuosa”, in Germania: loro ce l’hanno fatta, l’eden calcistico dei prossimi anni potrebbe essere proprio la Bundesliga. La ricetta è semplice: costi del personale contenuti, investimenti mirati sui giovani, gestione societaria rigorosa, azionariato popolare, stadi di proprietà redditizi.

La strada è tracciata, per tutti; a prescindere dal fattore cogente (fittizio o reale, si vedrà presto) del Fair play finanziario. La soluzione per far fronte alla crisi del calcio europeo è solo questa. Oppure l’epifania di qualche magnate o sceicco della provvidenza. Ma attenzione: i petrodollari come arrivano spariscono. Ne sa qualcosa il Malaga, sedotto e abbandonato dallo sceicco Al-Thani: potenza milionaria un anno fa di questi tempi, quarto nell’ultima Liga dopo anni di anonimato. Adesso la capitale della Costa del Sol torna ad essere meta solo di turisti e non di grandi giocatori: lo sceicco si è stancato presto del suo giocattolino, la società è di nuovo sul mercato. E così addio a Cazorla (emigrato a Londra, sponda Arsenal) e a tutti i pezzi pregiati della squadra. Comete che bruciano troppo in fretta: City e Psg sono avvisati. Intanto ricominciano i campionati. In attesa della Champions League, dove le squadre da battere saranno sempre le stesse. Real Madrid, Barcellona, Manchester United: campioni sul campo, campioni di debiti.  

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