Risale al 16 luglio scorso la decisione della presidenza della Repubblica di sollevare il conflitto d’attribuzione dinnanzi alla Corte Costituzionale nei confronti della procura della Repubblica di Palermo per l’uso delle intercettazioni telefoniche che, indirettamente, hanno coinvolto il capo dello Stato. Il presidente è stato ascoltato mentre riceveva alcune telefonate da Nicola Mancino, ex vicepresidente del Csm, indagato a Palermo per falsa testimonianza nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia. Sui contenuti delle telefonate ovviamente vige il più stretto riserbo ma la questione giuridica è relativa alla possibilità o meno di intercettare, seppur indirettamente, il Capo dello Stato e sull’uso da parte dei magistrati delle conversazioni.

Nicola Mancino è stato più volte intercettato al telefono con Loris D’Ambrosio, consulente giuridico del Quirinale. In alcune telefonate l’ex ministro chiedeva un intervento relativo alla sua indagine da parte della procura di Palermo. In particolare, Mancino chiedeva il coordinamento delle inchieste delle varie procure sulla trattativa Stato-mafia. Un intervento che alcuni commentatori politici hanno definito come un tentativo di “insabbiare l’inchiesta”. Alle telefonate di Mancino sarebbero seguiti contatti tra D’Ambrosio con il pg della Cassazione e con il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso. L’inchiesta è comunque rimasta a Palermo.

Il caso delle intercettazioni che coinvolgono Napolitano è stato oggetto di una querelle giornalistica. Il Fatto Quotidiano con alcuni editoriali ed articoli a firma di Antonio Padellaro e Marco Travaglio ha difeso l’operato della procura di Palermo e ha lanciato una raccolta firme che ha raggiunto quasi quota 120mila. Su Repubblica, invece, Eugenio Scalfari ha sostenuto che le conversazioni non dovevano essere neanche ascoltate perchè l’intercettazione doveva essere subito interrotta.

Il primo round nel confronto tra Quirinale e la Procura di Palermo è fissato per il 19 settembre. La Corte Costituzionale ha stabilito per quella data la Camera di Consiglio che valuterà il ricorso del Capo dello Stato sotto il profilo dell’ammissibilità. Ieri l’intervento del premier Monti che ha definito “grave” il caso delle telefonate intercettate dalla procura palermitana: “E’ evidente a tutti – ha detto – che nel fenomeno delle intercettazioni si sono verificati e si verificano abusi”. Per cui “è compito del governo prendere iniziative adeguate”.

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