Non è uno scontro politico, è uno scontro di civiltà. Si deciderà nei prossimi mesi, siamo ormai alla battaglia finale. È iniziato vent’anni fa, quando l’establishment del privilegio avviò la campagna di delegittimazione contro le procure di Milano e Palermo, colpevoli di prendere sul serio “la legge eguale per tutti”. Da allora Italia est omnis divisa in partes tres: il partito della legalità, il partito dell’impunità, il partito della morta gora. La legalità, infatti, non è una “posta in gioco” politica, e perciò negoziabile. È l’orizzonte, la premessa, l’habitat irrinunciabile della democrazia, senza il quale “una testa, un voto” diventa beffa, sostituito di fatto da “una mazzetta, un voto” e perfino “una pallottola, un voto”. La legalità dovrebbe perciò essere interiorizzata da tutte le forze politiche, destra, centro, sinistra, come catafratto bene comune, unico “pensiero unico” su cui non sono tollerabili divisioni, cedimenti, omissioni.

È invece avvenuto il contrario. Con la diffamazione mediatica, con l’intimidazione istituzionale. E col tritolo, se le prime non bastavano. Falcone e Borsellino, e gli uomini e le donne delle loro scorte, sono stati ammazzati davvero. La retorica di regime ha avuto l’impudenza di commemorarli, ammettendo perfino che corresponsabili morali degli omicidi fossero tutti coloro che li avevano isolato. Mentre isolavano, intanto, i magistrati che l’impegno di Falcone e Borsellino proseguivano. Rischiando la vita, per difendere noi tutti dalla mafia. Ieri il pool di Caselli, oggi a Palermo Ingroia, Di Matteo e Messineo, e a Caltanissetta Scarpinato. Tutti nel mirino dell’azione disciplinare per essere rimasti partigiani della Costituzione repubblicana anziché spergiuri della stessa, portabandiera indefettibili del partito della legalità, refrattari alle sirene dei sontuosi palazzi del signorsì partitocratico. Sembrano isolati, isolatissimi. Eroicamente soli (e il paese che ha bisogno di eroi è già nella sventura, non dimentichiamolo). Istituzionalmente lo sono, se la punta di diamante dell’azione che vuole illegittimi i loro atti si chiama Giorgio Napolitano. Mediaticamente lo sono, se ai pasdaràn di sempre, i Ferrara e gli Ostellino, subentra in pole position Eugenio Scalfari.

La morta gora si è allargata a dismisura, in questi ultimi mesi. Non ha fatto i conti con i cittadini, però. Più di 40mila firme in dodici ore alla vigilia di Ferragosto è l’esaltante giuramento di “non mollare” di un’Italia civile che c’è. La nostra Italia.

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