Ho sollecitato le riforme, ma le Camere non ci sentono. A parlare è il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che mette nero su bianco, in un comunicato, il nuovo messaggio alle forze politiche: “E’ innegabile che la ripetuta sollecitazione del presidente a approvare in Parlamento modifiche costituzionali e riforme regolamentari che garantissero un iter più certo e spedito dei disegni di legge ordinari, non ha trovato riscontri in conseguenti iniziative e deliberazioni nelle due Camere”. E l’ennesimo appello del Capo dello Stato ai partiti per arrivare a riforme costituzionali e in particolare alla modifica della legge elettorale. Non più tardi di due lunedì fa il Quirinale aveva di nuovo invitato le forze politiche a discutere sul sistema di voto, visto che “le posizioni dei partiti (sulla legge elettorale, ndr) da tempo impegnati in consultazioni riservate, sono apparse diventare più sfuggenti e polemiche”. Appelli iniziati mesi fa, continuati per settimane e finiti puntualmente, uno dopo l’altro, nel nulla. 

Il presidente della Repubblica, prendendo a pretesto la comunicazione del via libera al decreto legge sulla spending review, si è soffermato anche sul rafforzamento dei poteri del governo e di quelli del Parlamento in modo da sveltire le procedure e rendere più concreto il lavoro delle Camere. “C’è materia per riflessioni critiche e per impegni concreti – continua la nota di Napolitano – da parte sia di chi governa sia delle forze politiche, per assicurare tanto un pieno rispetto, e un libero svolgimento, del ruolo del Parlamento, quanto il tempestivo ed efficace assolvimento dei compiti propri dell’esecutivo”. Il capo dello Stato ha fatto cenno anche al “frequente ricorso alla decretazione e alla fiducia” è “una prassi di antica data, su cui Napolitano ha espresso le sue preoccupazioni, tendendo a porvi freno”. E’ però “innegabile che nel corso dell’ultimo anno” i due governi hanno dovuto “affrontare emergenze e urgenze senza precedenti”. Il governo guidato da Mario Monti ha posto la fiducia su 34 decreti legge.

“Le preoccupazioni del presidente della Repubblica che accompagnano la promulgazione della legge sulla spending review sono comprensibili ma, purtroppo, tardive” afferma il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. “Siamo di fronte alla classica preoccupazione del giorno dopo, che unisce al danno la beffa. Il danno è stato fatto ieri con il voto di fiducia ad un provvedimento recessivo che non incide minimamente sugli sprechi della spesa pubblica”.

La legge elettorale continua ad essere in ogni caso il nodo più difficile da sciogliere per i partiti rappresentanti in Parlamento. Pd, Pdl e Udc sembravano vicini al compromesso pochi giorni fa, ma il dibattito si trova ancora in una situazione di stallo e se ne riparlerà alla ripresa dei lavori parlamentari. Il risultato è che tutti i partiti sostengono di voler fare presto, ma ognuno resta sulle proprie posizioni. Il Pdl (e Berlusconi) dal canto suo vogliono togliere di mezzo il Porcellum perché, in caso di elezioni (anticipate o no), ne uscirebbero in netta minoranza: non vuole consegnare in alcun modo al Pd “una maggioranza granitica” che la legge elettorale ideata dall’allora ministro Roberto Calderoli potrebbe assicurare. Anche i Democratici, però puntano alla riforma della legge elettorale e non solo perché il cittadino deve tornare a scegliere l’eletto, ma anche perchè, tra i vari motivi, l’altra faccia della medaglia del testo Calderoli, e cioè l’obbligo di dover indicare la coalizione con cui ci si vuole presentare alle urne e si intende governare, è una di quelle misure di cui al momento nel Pd si farebbe volentieri a meno. 

Le posizioni restano ancora le stesse e sembrano inconciliabili. Il Pdl vorrebbe reintrodurre le preferenze e il premio di maggioranza al primo partito. Il Pd spinge per un sistema con collegi uninominali e il premio di maggioranza alla coalizione che vince. E tuttavia le idee sono tutt’altro che chiare, se è vero che intervistati da Corriere e Messaggero oggi Massimo D’Alema e Marco Follini hanno detto due cose opposte: l’uno che le alleanze si fanno dopo, l’altro che si fanno prima delle elezioni.

Intanto oggi dopo lo sciopero della fame di 35 giorni portato avanti dal deputato Pd Roberto Giachetti contro il ‘Porcellum’ e per una nuova legge elettorale, 25 parlamentari di quasi tutti i partiti (manca solo l’Udc) scendono in campo per continuare l’iniziativa attraverso una ‘staffettà che si dovrebbe concludere il 1 settembre. All’iniziativa, presentata in una conferenza stampa alla Camera, aderiscono tra gli altri Benedetto Della Vedova e Flavia Perina (Fli), Ermete Realacci, Paola Concia e Pierluigi Castagnetti (Pd), Giorgio Stracquadanio, Guido Crosetto e Enrico Costa (Pdl). I 25 parlamentari, che si propongono di digiunare a turno, ognuno per 24 ore, consentiranno così a Giachetti di rimettersi “in forze”, come spiega lui stesso in conferenza stampa, per riprendere la battaglia a settembre qualora ce ne fosse bisogno. E’ vero che per settembre i componenti del Comitato ristretto per la legge elettorale hanno assicurato che ci sarà l’adozione di un testo base, ma “non si sa mai…”. Bisogna essere pronti a “continuare la battaglia”. Mobilitazione bipartisan, dunque. Peccato che a votare il Porcellum il 21 dicembre 2005 furono 323 deputati di Forza Italia, Alleanza Nazionale, Udc e Lega. Ci furono 6 no e 6 astenuti, mentre il centrosinistra (Ds, Prc, Pdci, Verdi) non partecipò al voto.

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