Luisa Betti è una giornalista del Manifesto, cura il blog “Antiviolenza” dove pubblica con competenza e attenzione articoli sulla violenza sulle donne. E’ brava, preparata e appassionata. Non si sottrae al confronto e lascia che ci sia la libertà di commentare, anche se chi lo fa esprime aggressioni verbali e la attacca sul piano personale. Alcuni giorni fa, ha dovuto sospendere le pubblicazioni sul blog (per la seconda volta dopo il mese di luglio) perché ha subìto ingiurie, intimidazioni e azioni di cyberstalking.

La sua foto è circolata sul web come fosse una sorta di “ricercata”. Gli attacchi nei suoi confronti sono stati espressi anche nei cloni dei siti femministi dove si fa una sorta di “controinformazione” non tanto sulla base di un confronto sulle idee che può essere anche acceso, ma con invettive contro le donne in generale che arrivano in alcuni casi all’incitamento alla violenza, attacchi ai centri antiviolenza e denunce sui presunti crimini delle cosiddette “nazifemministe”.

La “colpa” di Luisa Betti è di aver criticato il ddl 957 in materia di affido condiviso e la proposta di introdurre la Pas (Sindrome di alienazione parentale); pare che per questi gruppi, la libertà di pensiero e di parola delle donne non sia sopportabile.

Anche la senatrice Pd Silvia della Monica è stata oggetto di denigrazioni sul web per aver posto emendamenti al ddl 957 da gruppi a favore della Pas.

Ma davvero in Italia non esiste un problema di misoginia, intolleranza nei confronti della parola e del pensiero delle donne soprattutto quando criticano il modello di relazione uomini-donne e denunciano la violenza maschile?

di Nadia Somma

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