Ho visto Maradona, forse. Un tipo tutto calcio e Napoli come lui. Che sogna eserciti di bambini in mezzo al campo come li sognava lui. Perfino istrione come lui. Sono le nove e mezzo di sera quando al campo nazionale dei ragazzi di Libera a Borgo Sabotino viene chiamato d’improvviso al microfono un giovane che non avevo visto mai. Si chiama Rosario Esposito La Rossa. Forse l’unico esemplare al mondo di un Esposito con doppio cognome. Urla di simpatia lo accompagnano mentre zompa felice sul palco. Poi sono fuochi d’artificio.

Rosario sembra sulla trentina, ma ha ventiquattro anni, una maglia rossa e radi capelli fulvi. Brandisce un libro, chiede ai trecento ragazzi che ha davanti se si ricordano di quella volta che scommise sulla capacità di un libro di diventare casa editrice. Racconta tra gli applausi che la casa editrice ora c’è, si chiama Cafiero Marotta, e ci lavorano di riffe o di raffe sei o sette ragazzi. Che è un miracolo se si pensa che tutto questo accade a Scampia, il quartiere delle Vele, dove perfino “Gomorra” fu costretta a pagare il pizzo alla camorra per girare. Con l’aiuto del Comune di Napoli, annuncia, sta facendo in quelle strade degradate una delle più grandi biblioteche della Campania, si è battuto l’Italia intera per raccogliere libri gratis. Spiega che è stufo di quelli che vengono da fuori a vedere Scampia come fosse uno zoo. Che lui, a questi anticamorristi da antologia, si diverte a raccomandargli di stare attenti ai cecchini. Fa un racconto che trasuda amore per i ragazzini del suo oceanico quartiere. Li racconta ma vuole essere accompagnato dalle foto, essenò non capite quello che dico.

Ecco, vai avanti, guardate bene i loro occhi. E questo ragazzino, lo vedete come tocca la palla? Perché lui, Rosario Esposito La Rossa, fa l’allenatore dei pulcini dell’Arci Scampia, storica scuola di calcio: sono partiti che erano in sette e oggi sono più di seicento. Ecco qui, la sventola, la sciarpa biancorossa con i colori sociali. I ragazzi di Libera vanno in visibilio. Prima c’era diffidenza, ora i genitori vengono a chiederci di far giocare i figli. A voi sembra niente, che c’entrerà mai giocare a pallone con la lotta alla camorra. E invece c’entra. Gioco collettivo, impegno comune, regole e rispetto. Quel nostro campetto è diventato una magia, ci abbiamo fatto le partite anche con i rifugiati, e con gli immigrati. Sono la bellezza di Scampia, questi ragazzini. Non è retorica. Rosario sa bene che Scampia non è solo bellezza. Alcuni anni fa, era il 2004, suo cugino Antonio Landieri, disabile, venne scambiato per uno spacciatore e ucciso per sbaglio dentro la faida terribile e sanguinaria tra i Di Lauro e gli scissionisti. Ne parlò tutta Italia. Sembrava una mattanza inarrestabile. Venne a Napoli il presidente della Repubblica, venne il ministro dell’Interno, venne il presidente della Commissione parlamentare antimafia. A un certo punto la guerra finì. Restarono sul campo a difendere la legalità insegnanti, psicologi, assistenti sociali. E volontari di genio ed entusiasmo purissimo come Rosario. Che ormai è un fiume in piena. Io non ne posso più dei cravattari, grida, di questi antimafiosi che non hanno mai messo il naso nelle realtà maledette e di speranza. I ragazzi lo applaudono di nuovo.

La lotta alla mafia, continua, non è fatta solo di eroi. Non ci sono solo i grandi magistrati. C’è la quotidianità che non si conosce. Ognuno faccia bene quello che deve fare. Anche insegnando a giocare a pallone. Lo sapete quante volte mi trovo ragazzini di tredici anni che sono ancora in prima media? Ragazzi che hanno dovuto lasciare la scuola perché il genitore è stato ucciso dalla camorra, magari lo hanno visto con la gola tagliata, o che vanno avanti e indietro in treno per vedere per pochi minuti il padre al 41 bis in un’altra città? Ma sapete voi che realtà sociali hanno dietro? Eppure di quei bambini me ne sono portati a decine alla manifestazione di Libera a Potenza l’anno scorso. E con loro sono venuti anche un po’ di genitori. Sapete che vi dico? Che bisogna smetterla di parlare dell’esercito del bene e dell’esercito del male. C’è una realtà immensa che ci sfugge, che può stare di qua o può stare di là a seconda di quello che facciamo noi. L’altro giorno a Napoli hanno ucciso due ragazzi durante una rapina, il più grande aveva diciotto anni. Non ne ha parlato nessuno, nessuna pietà perché erano rapinatori. Ma pensate all’età che avevano, guai a credere che sia materia che non ci appartiene. Rosario ha la parola fluente. E infatti è anche scrittore.

Ha pubblicato un libro, Al di là della neve, per Marotta Cafiero, dedicato alla storia del cugino. E ora ne ha pubblicato un altro, Sotto le ali dell’airone, che porta in copertina sei facce monelle di bambini sdraiati a centrocampo. In epigrafe ha messo una frase di Roy Keane: “Non credo che il talento sia il risultato dell’allenatore. Penso sia una questione d’amore tra il bambino e la palla”.

Rosario ha la parola fluente. E infatti fa anche l’attore, con la sua compagna, Lena Stornaiuolo, che gli sta accanto timida e raggiante. Hanno dato vita a una compagnia di teatro civile, Vo.Di.Sca, Voci di Scampia. Rosario ha la parola fluente. Si invola in lirismi arditi, evoca il violino che è dentro di noi, l’aurora che sorge su Scampia anche se noi non la vediamo perché vedersi l’aurora è scomodo. Poi in un tripudio di urla e applausi salta giù dal palco e sparisce nella notte. Che volete che vi dica, forse ho visto Maradona.

Il Fatto Quotidiano, 29 luglio 2012

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