Oggi, da parte mia scrivendo e da parte vostra leggendo e commentando qui di seguito, spostiamo insieme la nostra ‘percezione selettiva’ e osserviamo come, semplicemente usando certe parole o altre, la nostra mente semplifichi la nostra vita. Ci sono modi di pensare, gli uni degli altri, che riducono le persone alla nostra idea di quel che sono, bloccando la nostra percezione di potenziali risorse.

Dare una attribuzione, e cioè definire una persona riducendola ad una sua caratteristica è già una semplificazione che non tiene conto della ricchezza del vissuto personale, dell’esistenza di questa persona: chiunque è sempre e comunque molto di più di quel che chiunque altro possa pensare o dire di lui o di lei – così dicendo ‘donna’ riduco una persona alla sua identità di genere, dicendo ‘imbianchino’ o ‘cuoco’ alla sua funzione nel mondo del lavoro, dicendo ‘musulmano’ alla sua appartenenza religiosa. Ma chiunque è molto altro, più tutte le potenzialità e risorse non ancora sbocciate. Fiori delicati che possono finire col non aprirsi mai, se siamo occupati a difenderci a vicenda da accuse e negatività, invece di aprirci alla potenziale bellezza della nostra esistenza di esseri interrelati, nei nostri bisogni e desideri. Esseri con ben altre risorse nascoste, se solo ci diamo fiducia e ci rispettiamo a vicenda come gli esseri straordinari che siamo, certo, solo se ce ne accorgiamo.

Ne parlano sia Marshall Rosenberg con il suo metodo pratico della ‘Comunicazione non violenta’, sia il filosofo Krishnamurti.

Per la sua utilizzabilità immediata e a livello di vita quotidiana, quello in cui noi tutti possiamo da subito cambiare qualcosa, faccio riferimento a Rosenberg, che consiglio per riuscire a superare la tendenza ad attribuire caratteristiche agli altri, e/o colpe e responsabilità, invece di osservare e descrivere senza alcun tono recriminatorio:

-che cosa in concreto ci colpisce nel comportamento dell’altra persona, cosa vediamo?

-che cosa sentiamo in noi (timore, rabbia, preoccupazione, indignazione, altro?)

-sulla base di quale nostro bisogno (sicurezza? Condivisione di valori? Altro?)

-che cosa ci auguriamo invece?

Se ci allenassimo ad esprimerci, e a pensare, in questa maniera, saremmo presto più calmi e più riflessivi, e più equanimi. Più in grado di parlare di quel che abbiamo bisogno in positivo, e ascoltando i bisogni degli altri alla stessa maniera, invece di bloccarci nella lista, sempre lunga, delle lamentazioni e negatività. Come dire: se mi accorgo che sono triste/arrabbiato, queste emozioni mi informano che ho bisogno di qualcosa, altrimenti non comparirebbero. Sono quindi mie alleate per capire i prossimi passi, concreti, da fare.

E’ caratteristico di noi esseri umani che cambiamo anche al cambiare delle cose che pensiamo, diciamo e scriviamo su di noi: non è irrilevante quel che ci aspettiamo, gli uni verso gli altri, le idee che mettiamo in circolo su come siamo e crediamo di essere.

Ogni proposta interpretativa mette in gioco reazioni inaspettate: gli altri possono rifiutarla, completarla, essere variamente colpiti a pensare e a fare, a loro volta, altre mosse. Teoriche e concrete.

Bene: io credo nelle nostre potenzialità, come singoli e come specie umana. Nella creatività che ci farà uscire dall’attuale crisi finanziaria e di valori con idee e risorse nuove. Ne circolano già alcune, cito solo, ad esempio, quella dell’Economia del bene comune.

Quindi: non sottovalutiamoci, e attenzione alle parole che usiamo nel pensare a noi stessi e agli altri, intorno a noi, a quel che implicano: impoverimento o apertura alle risorse potenziali, a possibili scelte nuove?

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