Approvato il semipresidenzialismo al primo passaggio al Senato, dove ha raccolto i sì di Lega, Pdl e Coesione nazionale. I senatori di Pd e Idv hanno abbandonato l’aula, mentre Fli si è astenuta. Torna quindi l’asse tra gli ex alleati di centrodestra, già compatti per il voto di fine giugno sul Senato federale nonostante la precedente bocciatura in commissione Affari costituzionali.  

Il segretario del Pdl Angelino Alfano, parlando con i giornalisti a Racalmuto, in provincia di Agrigento, aveva caldeggiato il voto positivo a favore della riforma costituzionale che da settimane è  in cima agli obiettivi di Silvio Berlusconi e del suo partito e aveva bocciato l’ipotesi di voto anticipato. “Riteniamo importante quello che accade al Senato dove si vota la possibilità di eleggere direttamente il Presidente della Repubblica”, ha aggiunto il segretario, nella speranza che “che il Partito democratico non faccia perdere questa occasione all’Italia perché l’anno prossimo di questi tempi potremo aver un Presidente eletto dal popolo e dai cittadini. Si tratta di una grande chance per il Paese”. 

Poi ha rimandato le urne al 2013. “Non poniamo termine a questa legislatura”, ha spiegato. “Crediamo che la priorità sia l’economia e pensiamo anche che vi sia la necessità di approvare subito una legge elettorale e di andare al voto la prossima volta con un Paese in cui i cittadini possano scegliere il proprio deputato e il proprio senatore”. Il via libera del semipresidenzialismo del Senato, però, è soltanto il primo passaggio di una riforma costituzionale destinata ad arenarsi. Infatti, la legge prevede il doppio passaggio del testo nei due rami del Parlamento, ciascuno dei quali a tre mesi di distanza. In alternativa, il referendum popolare. Entrambe ipotesi che non potranno arrivare a termine nei limiti naturali della legislatura. Se però il passaggio di oggi non è cruciale per la riforma, è altrettanto vero che oggi il governo pone la fiducia sul decreto sviluppo nel giorno in cui Monti incontrerà il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo nel mirino della Corte dei Conti. Passaggi che possono pesare sulla bilancia della campagna elettorale. 

Sull’asse Pdl-Lega e sull’inconsistenza dell’approvazione delle riforme costituzionali, interviene duramente il capogruppo del Pd al Senato, Anna Finocchiaro, secondo cui i lavori parlamentari sono bloccati dalla “propaganda” delle due formazioni politiche. “E’ intollerabile che il Senato venga impegnato nella discussione sulle riforme costituzionali, che non avrà alcuna sorte – ha dichiarato la senatrice -. Mentre per la spending review, provvedimento importantissimo per il rilancio dell’economia del Paese, resteranno le briciole di tempo tra una seduta d’aula e l’altra”. Finocchiaro poi ribadisce che “la discussione sulle riforme istituzionali” procede “stancamente e con l’assenza del gruppo del Pd”. Si tratta di una “discussione senza senso, destinata a non avere nessun esito, che celebra il non interesse reale a riformare la Costituzione con il consenso di due terzi dell’emiciclo”.

Ma non tutto il Pdl era d’accordo con l’approvazione della riforma. Giuseppe Pisanu, prendendo la parola in aula al Senato durante le votazioni sull’articolo 9, ha detto che non avrebbe votato l’emendamento Gasparri-Quagliariello sull’elezione diretta del capo dello Stato. “Io esprimo il mio dissenso dal gruppo” ha dichiarato l’ex ministro dell’Interno Pisanu, che non voterà neanche gli altri “connessi tutti a firma Gasparri-Quagliariello sul semi presidenzialismo” perché “non possiamo subire così passivamente un esito così infelice che getterrebbe ombra e dicredito su Senato della Repubblica e delle forze politche che vi sono rappresentate”. Anche il senatore Giuseppe Saro, che sceglie l’astensionismo come Pisanu, ha spiegato: “E’ un errore approvare un testo che non vedrà mai la luce e che finirà su un binario morto alla Camera. Spero che lì ci sia almeno lo stralcio della riduzione del numero dei parlamentari”.

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