Ci troviamo di fronte ad una nazione in crisi. Da anni, infatti, cerchiamo affannosamente soluzioni a problemi che attanagliano un paese bloccato, dall’evasione fiscale alla scarsa produttività del sistema economico, dalla rigidità del mercato delle competenze professionali alla “fuga dei cervelli”, dalla spesa eccessiva per le pensioni all’inadeguatezza della protezione dei lavoratori precari, dalla riforma della struttura istituzionale alla questione meridionale, dalla debolezza della società civile alla mancanza di coesione sociale. 

Ma lo facciamo come se questa serie di problemi collettivi potessero essere risolti in modo autonomo. Stringendo la cinghia qua e là, continuando a comportarci in modo atomistico, dimenticando che a problemi collettivi bisogna, per forza di cose, dare risposte coniugate al plurale. Allora, se si vuole veramente cambiare il paese occorre proporre una serie di misure che abbiano un fine comune. Bisogna spiegare alla gente che, al di là di spread e ratings finanziari, esiste un fine alto verso cui tendere, un fine per il quale vale la pena lavorare duro e fare sacrifici.  

Occorre un principio unificante che guidi le azioni collettive, le riforme istituzionali di cui abbiamo disperato bisogno, cosi come quelle individuali che compiamo ogni giorno. Occorre un principio che ci ispiri a scegliere i comportamenti virtuosi su quelli egoistici e svantaggiosi per la collettività. In quest’ottica,  credo fermamente che la nostra stella polare debba essere il principio di uguaglianza. Questo perché la riduzione delle disuguaglianze non è semplicemente, un obiettivo legato all’idea di giustizia sociale (finalità di per se importante per molti cittadini tra cui il sottoscritto), ma anche uno strumento per il miglioramento generalizzato dei meccanismi che fanno vivere e prosperare un paese. 

Chi discute di uguaglianza oggi nel nostro paese, anche quei partiti politici o gruppi secondari che si dichiarano più sensibili al tema, lo fa ormai incidentalmente, senza uno straccio di analisi, quasi con stanchezza, trasformandola spesso, in un rimpianto della storia, in qualcosa che poteva essere e non e’ stato. In realtà proporsi di limitare drasticamente le disuguaglianze, non significa rispolverare vecchie ideologie del novecento senza riflessione critica, ma vuol dire invece, interrogarsi sulle falle del nostro sistema socio-economico. Falle che ci impediscono di sfruttare l’enorme potenziale umano, che giace inutilizzato per le sperequazioni del sistema, e che potrebbe concorrere alla trasformazione, finalmente in chiave moderna del nostro paese.  Concludo, dicendo che sto completando un libro (in uscita con la Rizzoli all’inizio del 2013) sul tema: combattere le disuguaglianze per rendere il paese efficiente. Su questa base mi farebbe molto piacere aprire una discussione con voi nei mesi a venire.

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