In nome della crescita europea l’Italia sacrifica il suo fondamento costituzionale: approvando, senza dibattito e in via definitiva il disegno di legge di ratifica del Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e la governance nell’Unione economica e monetaria (il cosiddetto fiscal compact), la Camera ha spostato la sovranità dal popolo (come recita l’art. 1 della Costituzione) alla burocrazia europea. In pratica, il voto impone all’Italia di tagliare per 20 anni 45 miliardi di debito pubblico all’anno: solo per dare un’idea della dimensione della scure Ue, a confronto la spending review cancella spese per un di 29 miliardi in tre anni. A questo esborso, inoltre, va aggiunto quello previsto dal trattato istitutivo del Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità), ratificato contestualmente al fiscal compact, che impegna l’Italia a versare 15 miliardi in 5 anni per la realizzazione di un fondo “paracadute” per le banche.

Quella che può essere considerata una vera e propria cessione all’Europa della sovranità politica economica e fiscale, è irrigidita da una serie di clausole “di rigore”, tese a sanzionare a sanzionare gli inadempienti con una multa fino allo 0,1% del Pil. Un Paese, dunque, non può rifiutarsi né di ridurre il debito né di obbedire alle correzioni richieste. Un meccanismo, voluto dall’Eurogruppo, che indebolisce la commissione europea, rafforzando un’Europa intergovernativa fortemente voluta dai governi di destra negli ultimi anni.

Oltre ad immaginare dove il Governo andrà ad operare questi tagli (dove l’ha fatto finora, penalizzando ulteriormente il welfare e accelerando le politiche di privatizzazione), il fiscal compact ci impone una riflessione sul grado di democrazia operante oggi, ma direi sin dalla sua fase costitutiva, all’interno dell’Unione.

L’unico principio all’interno dell’Europa che sembra orientato ad esprimere una dimensione democratica è il principio di coesione economico sociale quale paradigma dei diritti sociali. Tale principio, seppur tra mille contraddizioni, va considerato quale vero e unico fondamento “costituzionale” europeo, dal valore prescrittivo e non meramente programmatico, tale da costituire il presupposto di un ampio concetto di partecipazione alla convivenza sociale, politica ed economica.

Questo principio, finora assolutamente disatteso, deve essere messo in grado di attivare politiche pubbliche tese a realizzare un governo europeo dei beni comuni, in contrapposizione al modello mercantile e concorrenziale che sempre più spesso viene utilizzato quale paravento a scelte di politiche pubbliche. Su questo versante tutte le norme relative alla privatizzazione sono state intese, con estrema ipocrisia e mistificazione, come “comunitariamente necessarie”, ovvero norme alle quali il nostro legislatore, per non violare il diritto comunitario, non si sarebbe potuto sottrarre.

Dietro il meccanismo del fiscal compact, ma ancor di più dietro il Mes, il grande burattinaio è rappresentato dalla Bce, la Banca Centrale Europea, che ha adottato, in maniera assolutamente illegale e illegittima, misure fuori dall’ordinario quali lo stanziamento di fondi, tramite aste a tasso fisso ed a piena aggiudicazione, con scadenza a 36 mesi, e l’abbassamento temporaneo del coefficiente di riserva obbligatoria dal 2 all’1%. Queste iniziative, “motivate” dalla crisi internazionale, violano il seppur debole diritto pubblico europeo dell’economia (come anche riconosciuto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 24 del 2011 di ammissibilità del quesito referendario contro la privatizzazione dell’acqua) che sancisce i diritti fondamentali quale fattore irrinunciabile di tutela sociale e territoriale ed elemento imprescindibile della coesione europea (eguaglianza sostanziale). In questa visione la regola della concorrenza sarebbe limitata dal raggiungimento de fini sociali e dal rispetto dei valori fondanti dell’Unione, quali lo sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, la solidarietà, l’elevato livello dell’occupazione e la protezione dell’ambiente, della salute, dei consumatori. Ma non è mai stato così!

L’Europa può rinascere solo attraverso processi di mobilitazione e di affermazione di principi decisamente antiliberisti, che pongano al centro del confronto politico il lavoro, lo Stato sociale ed i beni comuni. Quindi, ridando piena effettività all’art. 1 della Costituzione, riconoscendo nel lavoro il fondamento della Repubblica e nel popolo, e non nei potentati economico-finanziari europeo, l’esclusiva sovranità.

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