Giorno di mercato. Di solito ci vado sempre, mi piace tanto il mercato: anche solo per guardare la gente, tanta, e le tante cose. Ma oggi era così caldo, che no, non ci sono andata.

Mi chiudo invece in casa a leggere, con il ventilatore. Leggere per me è fiondarsi in un’altra dimensione, e dimentico anche il caldo.

Poi, quando il sole ha fatto il suo giro e la calle dove abito è finalmente all’ombra, esco fuori. Si usa ancora, come un tempo, sedersi davanti alla porta di casa, da queste nostre parti lagunari (qui non ci son macchine); si usa anche tener la porta aperta, quando si è in casa, per far girare l’aria, al momento piuttosto afosa. Così, io che la tv non la ho, la sento sempre, come fosse una radio, dalle cucine delle vicine.

Esco dunque e mi siedo davanti a casa e vedo la mia vicina, che sta seduta davanti a casa sua, a tre metri da me, con in mano un vestitino di cotonina o viscosa, color grigio-topo-bollito-e-fiorellini-stampati-sopra-bianchi.

Mi pare un poco contrita e le chiedo “Ciò, Rosy, cosa xe nato?” (“che succede?”), e lei: “Guarda, mia figlia mi ha preso questo bel vestitino al mercato, e non mi sta, non ci entro! E costa 9,- euro!” (Veramente ha detto: “Ara! Me fia me ghà ciapà sto vestitin al mercà, e nol me sta, no ghe entro…“, da noi sembra di abitare dentro a una storia del teatro di Goldoni, una vera meraviglia).

Lo guardo e penso: “ecco, per una volta che non vado al mercato, il mercato viene a me, mi porta un bel vestitino color topone-che-scappa, con fiorellini bianchi stampati sopra, niente male; e poi, se glielo ricompro alla Rosy, di certo la vedrò contenta”.

A me piace l’idea di poterla veder contenta, la mia vicina, che come età potrebbe essere mia madre, e le chiedo: “Ciò, che cosa ne dici, forse a me starebbe bene?” E lei: “Certo! Pròviteo!“, e me lo dà, già piuttosto sollevata, mi pare.

Fra noi vicine a dir la verità non buttiamo via mai niente, ci si passa da sempre le cose che potrebbero servire o andar bene a qualcun’altro. A pensarci facciamo abbastanza a gara a farci gentilezze: io le “rubo” le spazzature che lascia sul davanzale della finestra e le porto al cassonetto, che è abbastanza lontano per lei che cammina male, lei mi porta ogni tanto perfino un qualche manicaretto, o resti di pesce per i gatti. Per quanto, a dirla tutta, la mia passione per i gatti è motivo di conflitto con la vicina, che non la condivide per nulla, ma mi compatisce, la trova una mia stranezza tutto sommato innocente – e la storia della gatta nera che abita nel mio giardinetto la racconterò in un’altra occasione.

Detto fatto, entro in casa e me lo provo, il vestito color vomito di pantegana; esco di casa e mostro il risultato, (a me piace, il color topone-che-scappa, colore altrimenti indefinibile, una specie di grigio-ma-non-proprio, che mi sta davvero bene, trovo), lo mostro dunque alle vicine, nel frattempo è uscita anche quella che sta alla porta più in là e la figlia, e chiedo consiglio: “come mi sta?”

Entusiasmo generale, mi sta benissimo, mi dicono: “Potresti andarci al Redentore!”, la più grande festa veneziana, che festeggiamo sabato prossimo, riempiendo la laguna di barche, una accanto all’altra, per vedere meravigliosi fuochi di artificio. Così, ricompero il vestitino alla vicina, e la ringrazio di avermi portato un pochino di mercato a casa.

Lo metterò di certo per andare al Redentore.

E ogni volta che lo userò, mi farà pensare alla mia vicina.

L’affetto si nasconde a volte nelle pieghe delle azioni più minime.   

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