Per la prima volta nella sua storia, la Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori di Roma ha aperto al pubblico il museo della sua sede di palazzo Vitelleschi in via San Nicola de’ Cesarini 3. Il museo sarà visitabile soltanto fino al prossimo sabato (per informazioni si può telefonare al numero 06- 68135320).

La massoneria, almeno in Italia, non gode di buona fama: la P2 di Licio Gelli e i suoi più recenti imitatori sono più vicini nella nostra memoria rispetto agli eroi del Risorgimento (i quali peraltro erano più spesso carbonari che massoni, ma tant’è). Tutte le associazioni potrebbero in teoria diventare luoghi sovversivi, finalizzati a perturbare il normale funzionamento delle istituzioni democratiche; in fondo il primo requisito di un’associazione sovversiva o criminale è di essere appunto un’associazione, con luoghi di riunione, strutture, eccetera. Ad esempio, una sezione di un sindacato o di una società sportiva o culturale potrebbe diventare “deviata” rispetto ai suoi fini istituzionali e perseguirne di illeciti. La massoneria in questo senso mi sembra assai particolare perché non me ne sono chiari gli scopi leciti, rispetto ai quali la loggia P2 era deviata, e per questo l’iniziativa di aprire almeno temporaneamente la sede della Gran Loggia degli Alam al pubblico mi è sembrata lodevole; quindi sono stato a visitarla.

Il museo della loggia è piccolo ed è annesso a una biblioteca e a una sala di riunioni arredata in uno stile che mi è sembrato una miscela di elementi orientaleggianti e ispirati al medio evo europeo. Il percorso espositivo raccoglie alcuni interessanti cimeli, soprattutto nella forma di documenti sia massonici che anti-massonici; tra questi ultimi gli editti che vietano le associazioni massoniche di Vittorio Amedeo (1794), Pio VII (1821), Ferdinando IV di Borbone (1775) e libelli satirici. I documenti massonici, o presumibilmente tali, sono proclami, manifesti o libri di epoca risorgimentale, mescolati con qualche opera esoterica, come il Trattato sulle Scienze Occulte e la Cabbala, entrambi di Papus. In alcune teche sono raccolte medaglie e spille con i simboli massonici, cazzuole d’argento e altri ornamenti.

Nel complesso l’apertura del museo al pubblico sortisce, a mio parere, l’effetto opposto a quello dichiarato: non è possibile ricostruire dal materiale esposto un fine lecito e ragionevole dell’associazione massonica. Ciò che la massoneria (con la carboneria) ha contribuito alla storia del paese è sostanzialmente accaduto nel Risorgimento ed era eversione contro regimi monarchici assolutisti, che spesso si erano distinti in brutali repressioni delle proteste popolari; passato il Risorgimento c’è ben poco da documentare. In fondo il merito principale della massoneria, in questo senso, sta nei demeriti dei suoi avversari; oggi in uno stato democratico sembra decisamente obsoleta.

Venuti meno i fini rivoluzionari e le idee progressiste non restano che finte cazzuole, spille d’oro a forma di compasso, grembiulini e la P2. Perché su un punto non possono esserci dubbi: la massoneria non ha nulla a che fare non solo con i muratori veri, ma neppure con quei grandi esponenti della cultura italiana, da Pascoli a Carducci che le erano affiliati. Il museo della massoneria non rivendica e non vanta questa produzione culturale né si può dire che questa cultura sia massonica e come tale distinta o peculiare rispetto alla cultura italiana dell’epoca.

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