Tra il 20 aprile e il 5 maggio 2012, prima delle ultime elezioni amministrative e del “fenomeno Grillo”, alcuni studenti (Francesco Catalini, Valentina Ciuccio e Chiara Davoli) diretti dalla docente di laboratorio di Ricerche di mercato della facoltà di Ingegneria dell’Informazione, Informatica e Statistica dell’Università Sapienza, hanno realizzato un sondaggio di opinione su un campione per quote incrociate di 300 studenti dell’ateneo romano.

Tra i risultati emersi ci soffermiamo, in questo articolo (il primo di tre), sul comportamento elettorale tenuto dagli studenti universitari della Sapienza nelle ultime elezioni politiche del 2008 e di quale sarebbe stato nel caso di nuove elezioni entro maggio 2012.

Emerge una situazione piuttosto singolare e che dovrebbe far riflettere, in particolare, i nostri politici. Difatti, gli studenti della Sapienza si mostrano non tanto antipolitici, quanto antipartitici; sembrano alla ricerca di qualcuno degno di saperli rappresentare e di cui potersi fidare, ma le loro speranze a riguardo paiono scemare e, in particolare, proprio tra i più giovani di loro.

Ma andiamo per ordine. Prima di tutto vediamo quanti sono andati a votare alle ultime elezioni politiche del 2008 e quali siano i motivi che hanno indotto alcuni a non esercitare questo diritto-dovere.

L’affluenza alle urne è stata piuttosto soddisfacente, pari al 63%, mentre le motivazioni addotte dal 37% dei non votanti sono rappresentate, soprattutto, da ragioni oggettive. Prima fra tutte spicca la minore età (63%) e, in secondo luogo, un impedimento di ordine pratico (11%). Motivazioni di tipo soggettivo, invece, rappresentano solo il 26% e si concentrano sulla mancanza di un candidato che potesse essere in grado di rappresentarli (17%), oltre che sul sistema elettorale che impedisce una vera scelta (7%).

Ma passiamo adesso a vedere come si sarebbero comportati gli studenti della Sapienza se ci fossero state le elezioni tra 15 giorni (all’incirca a metà Maggio): l’area dei votanti rimane pressoché identica, pari al 65% circa complessivamente, ma analizzando le intenzioni di voto tra chi ha partecipato alle elezioni politiche del 2008 e chi no, emerge che a fronte della persistenza nella zona del non voto del 22% di questi ultimi, si verifica la perdita di una parte di chi si era recato alle urne, spostatosi verso la zona dell’astensionismo (11%) e dell’indecisione (18%). In altri termini, l’elettorato degli studenti della Sapienza perde pezzi, invece di rafforzarsi.

Di chi le colpe di tutto questo?

Se i partiti fossero aziende dovrebbero arrivare alla conclusione che il loro prodotto è quanto mai obsoleto, da rinnovare. Sui partiti le opinioni degli universitari della Sapienza, che potevano esprimere più di un giudizio, per il 53% si sono concentrate sul cambiamento profondo che dovrebbe interessarli, per il 25% sulla opportunità di avere esponenti non corrotti e per il 23% sulla distanza che li separa dalla gente. Né è trascurabile che il 20% degli intervistati ritenga i partiti ormai finiti.

Il segnale è abbastanza evidente, i partiti sono percepiti dagli Studenti intervistati ormai obsoleti per il tipo di società e di mutamenti in atto e, quindi, possono essere salvati solo se avranno la forza di cambiare profondamente, di non cercare solo il consenso (15%) e se sono in grado di modificarsi strutturalmente, dal momento che solo in pochissimi attribuiscono la loro crisi a motivi interni, quale la litigiosità (6%).

Che i partiti non siano più carismatici, non abbiano veri leader è dimostrato sia dal comportamento di voto di chi si è recato alle urne nel 2008, che solo per il 43% accorderebbe la sua fiducia allo stesso partito, mentre per un 28% tenterebbe altri lidi, sia dal grado di fiducia che gli studenti hanno dichiarato di riporre nei diversi politici. Gli universitari della Sapienza per il 46% hanno risposto che “nessuno” dei segretari e uomini più in vista dei diversi schieramenti raccoglie i loro entusiasmi, mentre un altro 13% si mostra indeciso a scegliere un nome tra la rosa proposta (Vendola, Alfano, Fini, Bonino, Bersani, Di Pietro, Casini, Berlusconi). 

Il restante 40% circa di intervistati, che esprime un parere sui Leader presenti sullo scenario politico, si concentra su Vendola (15% di preferenze sul totale campione). Se si considerassero le preferenze riferite ai soli rispondenti – escludendo, quindi, coloro che non ne hanno o sono indecisi – Vendola raccoglierebbe il 36% di consensi seguito dalla Bonino 16% e da Di Pietro 14%.

E’ evidente che si tratta di una seria crisi di partiti e uomini. Coloro che soffrono di più di tale situazione sono probabilmente quelli che hanno accordato la propria preferenza ai Leader di PD, SeL e IdV, che sono anche i più partecipativi di tutti, essendosi recati alle urne nel 2008 per il 71%, contro il 57% di chi si esprime a favore di Alfano, Berlusconi e Fini e il 65% dei fautori della Bonino. Ma anche chi non ha saputo dare un’indicazione circa un uomo di partito di suo gusto, si è in ogni caso recato alle urne nel 2008, per oltre il 60%. Dunque, non manca la volontà di esprimere il proprio voto, ma mancano uomini e idee di partito che potrebbero meglio canalizzare e utilizzare energie che si spendono anche in assenza di leadership.

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