Da quando ho aperto questo blog, sono rimasto colpito dalla veemenza ed inesorabilità di alcuni commenti. Sintomo di una rabbia ed un disgusto verso tutto ciò che “puzza” di istituzionale che personalmente mi preoccupa, se non verrà incanalato in un’attitudine costruttiva e non demolitrice. E spesso mi chiedo da dove venga tutto questo astio verso cose e persone….

Poi ci sono stati gli Europei di calcio e per un mese ho “frequentato” più da vicino, attraverso i media, Cesare Prandelli. Lui è l’Italia migliore, quella perbene… Se mia figlia mi presentasse uno così come futuro genero, non avrei nulla da ridire. Persona seria, competente, mai sopra le righe: la parte buona di questo Belpaese.

Però… però Prandelli in questo mese ha detto e fatto alcune cose che devono far riflettere, perché sono – purtroppo – lo specchio di questo paese, comunque malaticcio anche nelle sue radici sane. Vado con ordine:

  1. Esclude dai convocati Criscito, in quanto indagato nell’ambito della nuova Calciopoli, mentre tiene in squadra Bonucci, anch’egli nel registro degli indagati. La differenza? Una ha ricevuto una perquisizione durante il ritiro dell’Italia – e quindi se ne presume la colpevolezza?, l’altro no – e quindi se ne presume l’innocenza? La prevalenza della forma sulla sostanza, tipico del nostro popolo.

  2. Porta con sé il figlio Niccolò come preparatore atletico. A chi gli fa notare che tale scelta, in un’ottica di trasparenza e rigore cui l’Italia sta cercando faticosamente di aderire, avrebbe potuto essere evitata, risponde: “Ma mio figlio è bravo e preparato”. Nessun dubbio, per carità, ma come sempre viene da chiedersi quanti altri bravi e preparati ci sono che non avranno mai tale possibilità. E’ il solito concetto della raccomandazione (o nepotismo) che è legittima se la persona scelta è brava, mentre invece è da condannare se la persona non è capace. Di questo si è cibata l’Italia per decenni, negando completamente qualunque forma di meritocrazia a favore di caste varie.

  3. Da ultimo, dopo aver perso la finale, riconosce che avrebbe dovuto cambiare qualche giocatore stanco o in non buone condizioni fisiche, ma non ha avuto il coraggio di farlo per un debito di riconoscenza. Questo maledetto concetto è un altro degli assi su cui si è fondato il fallimento Italia. Quanti debiti di riconoscenza portano enti pubblici ed aziende a dare incarichi e consulenze a vecchi dirigenti ormai in pensione, sul concetto che “insomma, questo servizio l’ha creato lui, non lo si può buttare via come un calzino usato..”? Quanti baroni sopravvivono in Università quando ormai non sono più produttivi, solo perché – per debito di riconoscenza – bisogna ripagarli di una vita spesa per il dipartimento X o Y? Il debito di riconoscenza è una forma di umanità per chi lo riceve, ma un concetto distruttivo per l’efficacia e l’efficienza delle organizzazioni.

Tutto questo, ripeto, fatto da una persona che incarna l’Italia migliore. Evidentemente noi siamo fatti così, abbiamo degli ingranaggi difettosi nel nostro Dna. Ricordiamocene quando sputiamo addosso a chicchessia (imprenditori, sindacalisti, diplomatici etc..) perché, purtroppo, dobbiamo ancora dimostrare di essere molto meglio di loro.

Articolo Precedente

Credenti, creditori e creduloni

next
Articolo Successivo

A testa bassa al Centro Sperimentale di Cinematografia

next