”Dobbiamo fare questa riforma della legge elettorale. Bisogna trovare un modo per non avere il Porcellum”. Diceva sul serio Pierluigi Bersani l’altra mattina parlando dell’ultima pressione ricevuta dal Capo dello Stato per chiudere, in tempi rapidi, quella riforma elettorale che sta diventando l’incubo del Colle. Un po’ meno quello dei leader politici. L’opinione pubblica preme, perchè un po’ tutti i partiti hanno promesso di arrivare all’aprile 2013 quantomeno con una modifica del vituperato Porcellum, ma l’accordo tra le forze in campo è ancora lontano. Colpa, soprattutto, del Pdl. Dove Berlusconi sogna di ritornare al proporzionale secco, in modo da costringere il Paese a rivederlo al governo sostenuto da una larga coalizione (su modello tedesco), una parte del suo partito, invece, punta sulle preferenze e su un premio di governabilità piccolo al partito (non alla coalizione) vincitore. Mentre il Pd vuole ridisegnare i collegi (soprattutto al Senato) senza mollare il premio di governabilità alla coalizione (non solo al partito) vincitrice.

Posizioni lontane, come si vede. Che hanno convinto, ancora una volta, Napolitano ad alzare la voce chiedendo ai leader di Pd e Pdl di mettersi a tavolino e non rialzarsi prima di aver trovato almeno una mediazione possibile. Gli incontri (e le telefonate incrociate) erano già in programma per tutto il fine settimana, in modo da arrivare lunedì con una proposta organica che consentisse la rapida presentazione di una riforma da approvare entro la fine di ottobre da parte di entrambe le Camere. Qualcosa, però, non ha funzionato. Anzi, si può dire che nulla è andato per il verso giusto. L’indicazione data agli “sherpa” dai leader di Pdl, Pd e Udc era stata quella di tentare la quadra e a questo scopo Angelino Alfano e Pier Luigi Bersani avevano messo in campo direttamente le segreterie dei loro partiti (il coordinatore del Pdl Denis Verdini e quello del Pd Maurizio Migliavacca). Poi il barometro ha cominciato a segnare burrasca. Al punto che il senatore Pd, Francesco Sanna, non ha esitato a gettare il cuore oltre l’ostacolo. “Se da parte del Pdl non ci dovesse essere la volontà di trovare una mediazione – ha spiegato parlando a Youdem tv – allora il Pd si farà carico di proporre in Parlamento la propria proposta di legge, perorandone in ogni modo la necessità di discussione. Lo dobbiamo agli elettori”.

L’incaglio è soprattutto sulla scelta tra preferenze o collegi per ridare ai cittadini voce in capitolo sull’elezione dei parlamentari. Nel vertice notturno di martedì scorso a Palazzo Grazioli lo stesso Berlusconi e molti pidiellini avevano abbracciato la via delle preferenze. Da qui il messaggio che Bersani ha fatto recapitare poi a Via dell’Umiltà: no alle preferenze, il Pd vuole i collegi come strada diretta per eleggere i parlamentari. Su questo punto anche il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini, pur storicamente favorevole alle preferenze, si è allineato alla posizione di Bersani: il sistema dei collegi è, d’altra parte, alla base dell’amato modello tedesco (50% collegi uninominali maggioritari e 50% liste bloccate con sbarramento al 5%). “C’è una situazione di grande instabilità a causa delle troppe contraddizioni e incertezze del Pdl”, ha detto con chiarezza, alla fine, Luciano Violante del Pd, nei mesi scorsi autore di una bozza condivisa basata sul tedesco corretto. E che l’impasse sia dovuta soprattutto all’indecisione del Pdl è ormai convinzione anche dei centristi.

Già, la “polverizzazione” del partito di via dell’Umiltà rende ora difficile trovare l’interlocutore giusto con cui cercare di raggiungere l’intesa. Come si diceva, Berlusconi ha la sua idea, una parte del partito punta sui collegi mentre un’altra parte non vuole “abbattere” il Porcellum ma pensa solo ad una piccola modifica che inserisca le preferenze. Il caos, insomma, regna sovrano a palazzo Grazioli. A spingere per il semplice ripristino delle preferenze è soprattutto l’ala ex aennina del Pdl. L’ex ministro Ignazio La Russa, in particolare, per tutto il corso della trattativa ha ricoperto la funzione di “frenatore” sui collegi. Tanto che l’ultimissima bozza di accordo prevede – su insistenza proprio del Pdl – l’introduzione di collegi proporzionali con il recupero dei migliori perdenti, come avviene con il sistema in vigore per eleggere i consigli regionali (da qui provincellum), e non di collegi maggioritari alla tedesca, dove viene eletto il solo primo arrivato. Il Pdl, e non solo l’ala ex An, vede infatti con grande preoccupazione il sistema dei collegi maggioritari per il semplice fatto che rischierebbe di prenderne ben pochi posti in base agli ultimi sondaggi: Pdl terzo partito dietro Pd e grillini. Uno schiaffo da evitare con tutti gli sforzi possibili.

A ben guardare, più il tempo trascorre, più si staglia all’orizzonte quello che, in fondo, vogliono un po’ tutti i partiti: favorire una semplice “manutenzione” del Porcellum per dare in pasto all’elettorato l’idea che qualcosa si sia cambiato. Alla fine, commentava Vannino Chiti del Pd, con aria sconsolata, “bisognerebbe arrivare almeno a cancellarne gli aspetti più insopportabili dell’attuale normativa”. Una proposta, in questo senso, è arrivata dal politologo D’Alimonte: eliminazione delle candidature plurime (un candidato, una circoscrizione); circoscrizioni piccole oppure voto di preferenza oppure collegi uninominali proporzionali; soglia di sbarramento al 5% per tutti, senza sconti per chi sta in coalizione e senza ripescaggi; premio nazionale anche al Senato per uniformarlo con la Camera; introduzione della soglia del 40% dei voti per far scattare il premio di maggioranza. Piccole cose, in apparenza. Ma gigantesche se messe in relazione alla volontà politica generale di cambiare le carte in tavola. A meno che il Pd non tiri fuori l’asso dalla manica e presenti la sua proposta in Parlamento, chiedendo che venga discussa in via prioritaria. Al momento, di questa determinazione non c’è traccia.

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