In tempi di crisi e disoccupazione galoppante c’è almeno un posto in Europa dove il lavoro non manca mai. Parliamo della Banca centrale europea, con sede a Francoforte, dove da mesi si lavora alacremente per cercare di arginare una crisi che nel resto d’Europa sta lasciando migliaia di persone a casa. Il lavoro è tanto, anzi troppo, tanto da spingere l’Ipso, il sindacato dei lavoratori della Bce, a scrivere una lettera d’allarme al presidente Mario Draghi: non ce la facciamo più!

Dici Troika e vengono in mente i men in black che valigetta alla mano girano tra Atene, Lisbona e Dublino (e presto forse pure a Madrid) a controllare i conti dei feckless Mediterranean, gli “inetti mediterranei”, come dicono su al Nord (Europa). Ma queste squadre sono fatti di uomini in carne ed ossa, che partono in missione e restano lontani da casa per giorni interi. Stessa sorte per tutti quegli impiegati che restano a Francoforte, chiusi in ufficio tra calcolatrici e montagne di carta incomprensibili ai profani.

Ed ecco che straordinari su straordinari, l’Ipso ha scritto una lettera a Draghi, presidente della Bce dal maggio 2011, e agli altri membri dell’Executive Board, per denunciare “la situazione di grave rischio operazionale in seno alla Bce” dovuta alla “permanente situazione di stress e di surplus lavorativo da quando la crisi è scoppiata” (quindi da almeno tre anni). Alla base della lettera c’è un sondaggio fatto dall’Ipso su circa la metà dei dipendenti della Bce (700 su un totale di 1600) secondo il quale l’80 per cento dei dipendenti “lamentano troppi straordinari” e il 16 per cento addirittura “preoccupanti ripercussioni sulla salute e sulla vita personale”.

“Abbiamo bisogno di una revisione totale del regolamento dello staff, dal numero di personale alle risorse a disposizione”, chiede Marius Mager, presidente Ipso. “Non ci lamentiamo del nostro lavoro, lo facciamo con passione, ma così non è più sostenibile”.

A guardare le cifre, Mager non ha tutti i torti. I dipendenti della Bce sono all’incirca 1600 (più qualche centinaio di consulenti saltuari), ben pagati per carità, ma generalmente iper qualificati e con responsabilità enormi sulle spalle specie in piena crisi dell’euro. Una cifra che impallidisce di fronte ai 6990 dipendenti della Banca d’Italia (cifra aggiornata al 31 dicembre 2011) spalmati su circa una settantina di filiali e con compiti ben più ridotti rispetto a quelli della Bce, che di Paesi da considerare (e presto parzialmente da controllare, stando alla nuova proposta di unione bancaria europea) ne hanno 17.

E all’orizzonte non ci sono certe buone notizie. Qualora Angela Merkel l’avesse vinta su Mario Monti e Mariano Rajoy circa le missioni della Troika anche nei Paesi “virtuosi” ma che dovessero attingere al fondo salva Stati Ems per calmierare il proprio spread, il lavoro per i dipendenti della Bce aumenterà ulteriormente. E se poi la supervisione centrale della Bce sull’intero sistema bancario europeo, di cui si è parlato in lungo e in largo all’ultimo summit europeo, diventasse realtà prima del 2014, allora l’ufficio personale della Bce dovrà davvero darsi da fare e dare il via a nuove assunzioni. E a guardare le previsioni dei mercati, la situazione non migliora di certo.

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