La boutique portava il suo nome, “Etty Mancini Moda“. Si trovava a Vibo Valentia nel cuore del corso Vittorio Emanuele III, la via dello “struscio”, ed era la più elegante della città. Elegante almeno quanto lei, Concetta, per tutti “Etty”, invidiata discendente dell'”impero” Mancini, la holding di famiglia operante da cent’anni sul territorio, principalmente nel settore turistico-alberghiero. Il negozio, si leggeva sul sito della Confcommercio nel 2007, aveva “l’orgoglio di aver fornito per diversi anni gli abiti più eleganti ai dipendenti del Consiglio Regionale della Calabria“. 

Nel 2006 l’attività è in piena crisi, con gravi problemi di solvibilità ed enormi debiti, tanto da “vantare” oltre cento protesti per circa 260.000 euro. “Colpa della crisi economica”, dichiarerà la Mancini al curatore fallimentare. Fatto sta che è in quel momento che, per il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Vibo Valentia, l’inclinazione imprenditoriale della famiglia si manifesta in tutta la sua genialità, partorendo un piano che, in breve, avrebbe messo al riparo dai creditori (tra cui innanzitutto lo Stato) i ricavi, le merci e gli arredi del negozio, lasciando in capo all’Azienda solo il passivo. Una “consapevole attività di programmazione dell’illecito”, la definisce il gip Alessandro Piscitelli nell’ordinanza con cui ha disposto l’arresto, ai domiciliari, di Etty, del marito Giuseppe Rito, peraltro presidente da anni di Confcommercio a Vibo Valentia, del padre di lei e del loro commercialista e consulente finanziario, Mario Malfarà Sacchini. Un’attività frenetica e studiata nei minimi dettagli, per la procura vibonese, fatta di costituzione di nuove società, artifici e falsi contabili, e vendite simulate, tutte volte a far fallire l’azienda stando attenti a mantenere intatta la propria ricchezza e fregare il fisco.

A partire dal 2007 i due coniugi –  si legge nelle carte – si muovono su più fronti. Innanzitutto salvaguardano il loro patrimonio personale con donazioni a figli e nipoti. Poi avviano imprese nello stesso settore della boutique da “svuotare”. Infine iniziano a distrarre – cioè a spostare da un’azienda di famiglia all’altra – le risorse finanziarie e materiali: prima di far fallire la “Etty Mancini Moda” è appunto necessario salvarne l’attivo. Vengono coinvolte le neonate “Giuseppe Rito”, ditta individuale, e “Etty Mancini Moda Fashion srl”, ma anche un’azienda di papà Peppino, la “Kalos srl”.

Il fallimento è dichiarato nel 2010. Ed è proprio da lì che le indagini partono. Sono troppe le cose che insospettiscono i giudici del Tribunale. Verranno fuori le manipolazioni dei registri contabili ad opera, per le Fiamme Gialle, del consulente Malfarà. Alcuni sarebbero stati falsificati, ad esempio certificando debiti inesistenti o superiori a quelli reali, altri distrutti, per impedire la ricostruzione storica del patrimonio aziendale. Molti fornitori, però, venivano puntualmente pagati: erano strategici per proseguire l’attività di vendita con le nuove ditte.

Il gip ha disposto l’arresto dei quattro per il pericolo di reiterazione dei reati ipotizzati, il principale dei quali è la bancarotta fraudolenta. Più che un pericolo, sembra una certezza: già la “Kalos” ha seguito la stessa sorte della “Etty Mancini Moda”, cioè è fallita con le stesse modalità, e presto sarebbe toccato, sospettano gli inquirenti, alla “Giuseppe Rito”. Il giudice ha inoltre disposto il sequestro, in parte preventivo, in parte per equivalente, di beni per circa 2.800.000 euro. Ovvero la cifra che sarebbe stata fin qui distratta e in gran parte evasa al Fisco.

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