E’ un po’ come togliere le rotelline alla bicicletta di un bambino. C’è la paura di cadere e farsi male ma c’è anche l’emozione e l’orgoglio di pedalare per davvero. Quello che si appresta a vivere l’industria italiana del fotovoltaico è insomma un momento importante e delicato. Da un lato deve confrontarsi con una riduzione e, in prospettiva con il progressivo esaurimento degli incentivi finanziati con le nostre bollette, dall’altro può dimostrare di essere in grado di camminare con le proprie gambe. Il taglio dei sostegni, che scatterà dal prossimo settembre con l’entrata in vigore del quinto conto energia atteso a giorni, dovrebbe andare dal 30 al 50% a seconda del tipo e potenza di impianti (es: meno 34% per un classico impianto domestico fino a 3 kilowatt; meno 46% fino a 1000; meno 49% oltre i 5000 kw). Poi, probabilmente dopo il 2015, gli aiuti che complessivamente valgono tra i 6 e i 7 miliardi di euro l’anno, spariranno del tutto. Chi deciderà di installare un impianto il primo gennaio 2016 non riceverà insomma nemmeno un euro di aiuti. Resteranno invece gli incentivi per chi si è mosso prima, assicurati per vent’anni e che si esauriranno quindi completamente solo nel 2035.

Le preoccupazioni, ovviamente, non mancano anche dal punto di vista occupazionale. Valerio Natalizie presidente di Anie-Gifi, una delle associazioni imprenditoriali del settore, stima che solo l’effetto annuncio di un possibile giro di vite sui sussidi abbia causato il licenziamento o la messa in cassa integrazione di 2000 persone. Difficile prevedere cosa accadrà a settembre quando le nuove regole dovrebbero entrare effettivamente in vigore. Qualcuno azzarda altri 5000 esuberi, in generale c’è la consapevolezza che le conseguenze non saranno trascurabili. Pur contestando modalità e tempistica, sulla necessità di rivedere un sistema di incentivi fin qui molto generoso concordano più o meno tutti anche perché nel frattempo il costo dei pannelli è sceso e la loro efficienza è migliorata. Senza correttivi l’impatto sulle tasche degli italiani sarebbe inoltre diventato insostenibile. Oggi i finanziamenti per le rinnovabili incidono sul costo della bolletta per circa 15% (3 centesimi di euro ogni 19 di spesa con il fotovoltaico che assorbe circa la metà dei fondi). “Con le modifiche, chiarisce Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, non ci saranno risparmi per gli utenti ma il prelievo destinato alle rinnovabili smetterà almeno di aumentare”.

A preoccupare le associazioni di categoria è anche l’introduzione di un registro dove iscrivere gli impianti da oltre 12 kilowatt. Al di sotto di questa soglia l’accesso all’incentivo è automatico, al di sopra si entra in una sorta di graduatoria che è requisito necessario ma non sufficiente per ottenere le agevolazioni. “Questo, sottolinea ancora Natalizie, costringe a sobbarcarsi costi e tempi della procedura burocratica senza avere poi la certezza di ottenere le agevolazioni. Ecco perché chiediamo che la soglia venga elevata almeno a 100 kw”. Come fa notare Assosolare il Governo tecnico in questa vicenda si sta comportando in modo molto poco tecnico. Questo e l’incertezza prodotta dalla continua riscrittura delle regole rischiano di tarpare le ali ad un settore che, come sottolinea il presidente Giovanni Simone “è diventato un patrimonio per il paese” in cui “l’Italia è oggi cinque anni avanti a tutti”

L’anno scorso l’Italia è stato il paese che in tutto il mondo ha aumentato di più la sua capacità di produzione dal fotovoltaico e ormai contende alla Germania la leadership europea del settore. La potenza complessiva installata ha raggiunto i 13.500 megawatt, generati da quasi 366 mila impianti, e più o meno equivalenti all’apporto che possono fornire 4 o 5 centrali a carbone. La politica degli incentivi ha dunque funzionato, paradossalmente fin troppo bene, visto che uno dei problemi è che le tappe del percorso di crescita sono state bruciate anzitempo. “Con il senno di poi è facile dire che sarebbe servita un’evoluzione più ordinata e armoniosa”, fa però notare Alessandro Marangoni direttore scientifico di Althesys, società di consulenza nel settore energetico. “Quando si decide una politica di incentivazione, spiega Marangoni, sbagliare è pressoché la regola. Quasi mai infatti si riesce a calibrare in maniera esatta la portata degli aiuti, Italia e Spagna hanno ad esempio fatto un errore per eccesso mentre Polonia ed Inghilterra che lo hanno fatto per difetto”. Marangoni ricorda anche come il solare restituisca parte degli incentivi sotto forma di risparmi. Ogni anno l’apporto del fotovoltaico consente ad esempio spendere un miliardo in meno per l’alimentazione delle centrali a gas. I calcoli che indicano in 120 miliardi ed oltre il peso dei sussidi da qui al 2035 sono dunque in parte falsati poiché sbilanciati solo sul lato dei costi.

A difendere la scelta strategica del fotovoltaico è anche Davide Tabarelli che sottolinea come comincino ad arrivare segnalazioni di imprese pronte ad investire, soprattutto nel Mezzogiorno, anche in assenza di incentivi. “Pur con molte imperfezioni il sistema ha funzionato, l’unico aspetto fallimentare ragiona Tabarelli, è la mancata nascita di un’ industria nazionale dei pannelli solari, oggi prevalentemente prodotti in Cina a costi con cui è peraltro davvero difficile competere”.

Articolo Precedente

Chi prenderà il posto del consumatore americano?

next
Articolo Successivo

Passera, una tegola sulla via di Palazzo Chigi

next