Dagospia. Costa SmeraldaLeggo sul sito Dagospia che Alfonso Signorini sta pubblicando su “Chi” una retrospettiva a puntate sulle gloriose stagioni estive in Costa Smeralda, con tanto di gallerie fotografiche tipo riassunto illustrato di tutto il trash che ci ha ammorbato nell’arco degli ultimi quindici anni. La cosa non può che rallegrarci: questa iniziativa, assieme alla chiusura del Billionaire già commentata egregiamente da Francesco Merlo, è segno che un’epoca è davvero morta e sepolta, anche se in questo caso con immenso e insanabile ritardo.

Poi però leggi l’articolo e perdi la calma. Dopo una premessa che vorrebbe fingere un certo distacco, questo Signorini in realtà non riesce a trattenere il compiacimento. E racconta di Porto Cervo che era uno status symbol per cui “se sei qui conti qualcosa, se non ci sei non conti niente”. Con gente che pur di esserci infatti “in quegli anni investiva i capitali di una vita intera”. O raccontando di “giornalisti, direttori, pierre, contesse, marchese e principi che passavano le loro vacanze da un buffet all’altro, con un solo comandamento: scroccare”. Non dimenticherà mai, dice il Signorini, la “generosità” di Lele Mora che apriva a tutti le porte di casa sua, dove però “dal culatello all’acqua minerale alle auto, tutto era sponsorizzato”, e si trattava dunque di quella particolare generosità per conto terzi. Soprattutto non scorderà mai le “fantastiche feste di Roberto Cavalli”, dove lo stilista “regalava abiti ai quattro venti per promuoversi”, e in cambio, per riconoscenza, “signore molto blasonate portavano via sotto braccio perfino cuscini e tovaglie griffate. Vere e proprie ladruncole, che poi sfoggiavano la tovaglia di Roberto sul loro yacht o nella loro bella casa milanese o romana”. E altre raffinatezze del genere.

Ogni commento è superfluo. Di fronte a questo affresco c’è chi si compiace e chi prova solo immensa pena. Ricordo che negli anni ’90 quando esternavo in pubblico la mia diffidenza per quegli ambienti in cui si calpestavano le più elementari regole dello stile e dell’eleganza, che presuppongono soprattutto cultura e lì di cultura non ce n’era nemmeno l’ombra, venivo deriso e considerato un extraterrestre. Penso che una cosa non si possa tollerarla: che tutto ciò venga liquidato con leggerezza perché, come dice Signorini, “ogni tempo vuole il suo svago. E certi svaghi a quei tempi ci stavano benissimo”. Questo no. Perché dietro a quel micidiale sistema di manipolazione che ha visto allearsi per quindici anni moda, gossip, media e politica con lo scopo di annichilire le masse di italiani e annientarne il senso critico, c’era un Paese reale già in grosse difficoltà, ma di cui non fregava a nessuno e la cui presenza anzi dava fastidio. C’erano generazioni di giovani laureati ciostretti a emigrare per fuggire da un sistema di lavoro umiliante e iniquo. Famiglie i cui sacrifici sono stati per anni svalutati e derisi. Per non parlare del calvario degli imprenditori onesti. In quelle foto è ritratta una classe dirigente che ha preteso di vivere di feste e di agi sulle spalle di un popolo che meritava ben altra guida. Una classe dirigente avida, corrotta, inetta, cinica e ignorante interessata più a conservare i privilegi e garantirsi impunità che a governare. Gente che ha una enorme reponsabilità sulle condizioni con cui l’Italia si trova ad affrontare la fase più dura della crisi e a cui si dovrebbe chiedere il conto. Gente che soprattutto dovrebbe vergognarsi e andare a nascondersi. Perchè l’eredità che lasciano al Paese, oltre ai danni causati, non va oltre quelle foto su “Chi”.

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