L’impressione è quella di trovarsi ad una svolta. Sino a un paio di settimane fa i prezzi del petrolio e di altre importanti materie prime avevano resistito alle pressioni al ribasso legate al rallentamento economico che sta ormai interessando quasi tutte le aree del globo. Poi qualcosa ha rotto l’incantesimo e sono cominciate le vendite. Il Brent, petrolio del mare del Nord che funge da riferimento per gli scambi europei, è sceso al di sotto dei 90 dollari al barile per la prima volta dal dicembre del 2010 e oggi si paga 20 dollari in meno rispetto a un mese fa e 40 rispetto allo scorso marzo. Stessa musica per il Wti, il greggio venduto a New York e scambiato a meno di 80 dollari ossia circa il 20% in meno di un anno fa. Neppure le notizie sulle tensioni con l’Iran hanno provocato qualche sussulto in un mercato in cui l’offerta di greggio supera ormai stabilmente la richiesta delle raffinerie. Secondo Maurizio Mazziero, analista del settore commodities e fondatore della società Mazziero reasearch, l’innesco che ha dato il via ai cali è stata la vicenda Jp Morgan. La grossa banca d’affari statunitense lo scorso maggio si è trovata 2 miliardi di perdite a bilancio per errate scommesse speculative, ed è stata così costretta a ridurre del 60% la sua esposizione sui mercati dei derivati, materie prime compresa. Tradotto, si è messa a vendere a manbassa contratti per la consegna di petrolio, metalli e quant’altro. I mercati, ricorda Mazziero tendono a muoversi come greggi e quando un “capo branco” inizia a vendere tutti lo seguono.

L’effetto si è visto bene anche sulle quotazioni di metalli. L’alluminio si vende a circa 1820 dollari a tonnellata vale a dire il prezzo più basso da due anni a questa parte e il 20% al di sotto dello scorso marzo. Il rame, in assoluto il metallo più sensibile all’andamento economico della Cina che ne è il maggior consumatore al mondo, ha perso negli ultimi 3 mesi il 12% del suo valore. Il minerale di ferro, solo tre mesi fa a ridosso dei 150 dollari a tonnellata, viaggia oggi intorno ai 130 dollari. Sui mercati finanziari si ritiene che indici e titoli legati alle materie prime e gli indici legati ad esse, siano ormai entrati in una fase “orso” ossia di consolidata tendenza al ribasso. In soli quattro mesi l’indice GSCI elaborato da Standard and Poor’s e basato sulle quotazioni 24 commodities di vario genere ha ad esempio accusato del 22% in soli quattro mesi.

Di tutta questa situazione si possono vedere i due rovesci della medaglia. Da un lato c’è l’effetto lenitivo per le tasche di consumatori già duramente provati dalla crisi, dall’altro le conseguenze negative per i paesi esportatori e per gli operatori del settore. La benzina inizia timidamente a scendere, le bollette di elettricità e gas, dopo il nuovo rincaro preannunciato per luglio da Nomisma energia, dovrebbero iniziare a loro volta a diminuire dal prossimo settembre. Com effetto a cascata dovrebbe così prodursi un generale rallentamento dell’inflazione visto che il costo di qualsiasi merce risente anche delle spese di trasporto. Sul fronte opposto ci sono i mancati incassi per i paesi produttori. Valga su tutti il caso del Brasile che ha finanziato il suo sviluppo degli ultimi anni anche grazie ai proventi dell’export di petrolio, con una produzione alzata via via fino a 2,2 milioni di barili al giorno, a ridosso dei primi dieci produttori al mondo.

Un discorso a parte lo merita infine l’oro che galleggia da tempo intorno a 1600 dollari l’oncia. E’ come se il bene rifugio per eccellenza fosse in una situazione di “sonno” che potrebbe interrompersi bruscamente qualora la situazione europea naufragasse e tra investitori e risparmiatori si scatenasse la corsa alla ciambella di salvataggio. Roberto Binetti, di Confinvest, società specializzata nella compravendita di oro fisico, spiega che le quotazioni non sono salite anche perché c’è il sospetto che grossi fondi statunitense in difficoltà (e qualche banca europea, ndr) siano stati costretti a vendere oro per fare cassa. Comunque, aggiunge Binetti, prolungati periodi di stabilità sono sempre stati seguiti da una fase di prezzi in salita. Anche per questo molti analisti scommettono su un oro a 2500 dollari nel giro di un anno. Tengono, per ora, anche i prezzi degli alimentari. E’ vero che il rallentamento economico sta frenando anche la domanda di grano, mais, riso e quant’altro, ricorda Carlo Altomonte dell’Università Bocconi, ma questo aspetto è compensato dal cambiamento della dieta in molte aree in via di sviluppo. Si mangia più carne e dunque si allevano più bovini che per alimentarsi consumano grandissime quantità di frumento. 

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