Il pasticcio diplomatico e la dichiarazione conclusiva dimostrano che il G20 messicano è stato un duello da 19 contro uno, la Germania. Ma che Berlino ha resistito, concedendo molto poco. Nella notte tra lunedì e martedì non si tiene il previsto incontro tra il presidente Barack Obama e i leader dell’eurozona, cosa sorprendente in un vertice che come priorità aveva i destini dell’euro. Colpa della cena troppo lunga, ufficialmente. Ma non ci crede nessuno, il compromesso con Berlino era ancora lontano. Obama ha poi visto i leader dell’euro ieri sera, dopo un’altra giornata di discussioni. Le bozze di comunicato finale che circolavano ieri sera ribadivano l’intenzione di rompere il circolo perverso tra debito privato e pubblico (lo Stato salva banche in crisi indebitandosi, poi le banche devono salvare lo Stato comprando i suoi titoli di debito). E lo strumento individuato è l’unione bancaria. “Sosteniamo l’intenzione di considerare misure concrete verso un’architettura finanziaria più integrata” è la formula che usano i leader europei in attesa di concretizzare il progetto nel vertice del Consiglio europeo, a Bruxelles, la prossima settimana.

Il progetto dovrebbe avere la cauta approvazione di Berlino, che cercherà però di sottrarre alla supervisione europea le proprie banche regionali, notoriamente non solidissime. Secondo il Financial Times, dal 2008 le banche hanno ricevuto 4.500 miliardi di euro di aiuti pubblici. Ma ora siamo all’inizio di una nuova crisi bancaria, partita dalla Spagna, ma con gli Stati privi di risorse per intervenire a livello nazionale. L’idea sempre più consolidata è quindi quella di rafforzare la supervisione europea sulle banche, come primo passo per arrivare poi all’obiettivo ultimo, un fondo di garanzia europeo dei depositi, così da rassicurare i risparmiatori di tutti i Paesi che sarebbero tutelati allo stesso modo, siano essi tedeschi, greci o spagnoli. La Germania non ne è entusiasta, visto che i tedeschi si troverebbero a garantire i risparmi del resto d’Europa, ma è consapevole che l’alternativa potrebbe essere fatale.

Una vera unione bancaria richiede 5-10 anni, ma l’importante è cominciare. Alle condizioni di Berlino. Angela Merkel ha approfittato del G20 per ribadire i punti non negoziabili. Primo: insistere con un “fermo impegno” nel consolidamento fiscale, cioè non allentare il rigore contabile. Secondo: la Grecia non deve aspettarsi sconti sul programma di tagli e privatizzazioni concordato in cambio degli aiuti europei, oppure gli altri Paesi aiutati (Portogallo, Irlanda, Spagna) chiederanno ulteriori allentamenti e la credibilità di tutti i piani di risanamento sarà compromessa. Terza richiesta: la Spagna deve smetterla di prendere tempo. “Tutti noi abbiamo concordato sul fatto che, non appena i conti saranno stati fatti, la Spagna dovrebbe inoltrare la sua richiesta prima possibile. E dovrebbe fare la sua richiesta presto”, ha detto la cancelliera Merkel ai giornalisti, per far arrivare ai mercati il messaggio. Il governo di Mariano Rajoy non ha ancora quantificato il buco nei bilanci delle banche iberiche, secondo il Fmi è di 40 miliardi, ma l’Europa ha predisposto una linea di credito da 100. Serve una posizione chiara da Madrid.

Mario Monti ha altre priorità. Sta lavorando assieme a François Hollande a un piano anti-spread. Che, per usare le parole del presidente francese, resta a un livello “non accettabile” nonostante gli sforzi di risanamento (dell’Italia , più che degli altri). A Los Cabos Monti non ne ha parlato direttamente, non era quella la sede, ma ha fatto capire che un Paese con un avanzo primario come l’Italia (cioè che si deve indebitare solo per pagare gli interessi sul debito pregresso) non ha lo spread che si merita. E che, sottinteso, qualcuno dovrebbe contrastare i mercati comprando titoli italiani per farne scendere il rendimento. Chi? A Palazzo Chigi hanno escluso l’ipotesi di coinvolgere il fondo Salva Stati Efsf. Resta la Bce. Hollande e Monti ne parleranno anche venerdì, nel loro incontro a Roma. Ci sarà anche Angela Merkel, proveranno a convincerla a fare qualcosa.

Twitter@stefanofeltri

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