Rosi Mauro si tiene il sindacato padano (Sinpa) e manda su tutte le furie i colonnelli leghisti impegnati a mondare l’immagine del partito compromessa dagli scandali. Chi pensava che la guerra fratricida in casa Lega Nord fosse finita si sbaglia di grosso. Il guanto di sfida arriva dal terzo congresso confederale del Sinpa che si è tenuto ieri nella cornice non proprio operaia dell’Holiday Inn di Milano, un resort quattro stelle con palestra e piscina. Al termine del congresso è arrivata la conferma per acclamazione della Mauro, del vicesegretario generale, Emiliano Tremolada, e il segretario organizzativo, Alessandro Gemme, tutti eletti all’unanimità dai delegati.

Una notizia che di sicuro non avrà fatto piacere a Roberto Maroni, leader in pectore del nuovo Carroccio. E neppure ai colonnelli che hanno guidato l’operazione ripulisti e brigato in lungo e in largo perché il popolo leghista mettesse a fuoco il nemico interno in Rosi Mauro, manipolatrice del leader infermo, Umberto Bossi, in eterna combutta col tesoriere infedele Francesco Belsito con la passione per la Tanzania. Nessuno vuol commentare. Roberto Calderoli, uno dei tre triumviri, è sotto i ferri per un’appendicite e non parla. Non si sa se gli sia venuta prima o dopo la notizia. Maroni non ne vuol sentir parlare e declina l’intervista. Roberto Castelli, ex Guardasigilli, ne sa poco o nulla e Roberto Cota, presidente della regione Piemonte, si guarda bene dal proferire parola. Le ultime elezioni non sono andate bene per il Carroccio che sta perdendo anche i suoi più famosi baluardi.

Del resto lo sgradito ritorno si materializza alla vigilia del “No Imu day” di Verona, prima grande occasione per la Lega di ricostruirsi un’immagine da partito di lotta. Sono le seconde linee però che tentano di sminuire la portata deflagrante della resistenza di Rosi la badante. Ripetendo come un refrain la storiella che “il Sinpa non è il sindacato padano. Sì è vero che per vent’anni Lega Nord e SinPa hanno camminato insieme, ma giuridcamente è autonomo, noi non sappiamo neppure chi e quanti siano gli iscritti. Da quanto ne sappiamo non ce ne sono”, sostiene uno degli uomini più vicini al triumvirato che deve traghettare la Lega fino al congresso di luglio. E poco importa se la Mauro era la vicepresidente del Senato portata in palmo di mano da Bossi e allo stesso tempo la fondatrice del SinPa. Ma la ricostruzione in salsa revisionista delle convergenze parallele/autonome tra sindacato e partito non convince nessuno, soprattutto la Mauro che nella 22esima “batelada” del maggio scorso e nel bollettino di giugno rivendica in lungo in largo l’importanza che le ragioni del Nord siano protagoniste dei cambiamenti nel mondo del lavoro e nelle fabbriche padane con il SinPa.

A questo punto sarà guerra frontale. Maroni ha annunciato da tempo la volontà di creare un vero sindacato padano al posto di quello farlocco che drenava risorse al partito e non portava iscritti. E sarebbe guerra di numeri, se soltanto il Sinpa ne avesse. Ma si sa, per la sua fondatrice è un grande sindacato, per i militanti padani uno sconosciuto, per i vertici della Lega un prezzo da pagare con spirito di sopportazione all’ingombrante presenza della ex plenipotenziaria di casa Bossi (insieme a una certa indulgenza su investimenti offshore, titoli di studio in saldo, rimborsi elettorali trasformati in oro e diamanti e altre robette). Al sindacato fantasma la Rosi ha poi aggiunto un partito spettrale. Al culmine del bagno di sangue tra leghisti lei gonfiò il petto e scandì “la Lega è morta”, annunciando un nuovo soggetto politico che doveva chiamarsi Gente Comune e che per ora è solo una componente del gruppo misto cui si è aggregato il senatore Bodega. Poca roba. Così poca che alla Mauro non rimane che tenersi attaccata con le unghie a quello che le resta: lo scranno della vicepresidenza del Senato e quel sindacato che – mentre rivendica un ruolo accanto alle famiglie padane colpite dalla crisi – si rinnova, uguale a se stesso, in un hotel di lusso.

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