La Grecia che non t’aspetti va avanti e resta in Europa. L’Italia che è sull’orlo del cratere, come direbbe il professor Monti, ritrova lo ‘stellone’: si libera per infortunio della palla al piede che il suo tecnico non voleva proprio togliere e consolida le sue speranze.

Il calcio resta metafora della vita –e così abbiamo speso tutti i luoghi comuni concessici, questa mattina-. La domenica del voto in Grecia, e pure in Francia, guardi le prime pagine e ascolti i tg e sembra che, stasera, l’Unione europea potrebbe non esserci più: come se, vincendo ad Atene la sinistra radicale, che vuole rinegoziare le intese per restare nell’euro, i greci siano fuori di botto.

Invece, comunque vada, non sarà così: non solo perché ci vorrà del tempo: ma anche perché probabilmente non accadrà proprio.

E’ vero, però, che la vigilia è stata drammatizzata non solo dagli euroscettici, quelli che raccontano ai gonzi che ci credono che, se domani non c’è l’euro e si torna alle monete nazionali, si vive nel Paese di Bengodi: quasi che, nonostante Pinocchio lo conosciamo tutti, ancora credessimo al Gatto e alla Volpe e seguissimo il Lucignolo di turno, che magari si chiama Beppe.

A caricare i toni ci hanno pensato Frau Merkel, con i consigli di voto ai greci che non glieli avevano chiesti (“scelgano chi rispetta gli impegni”, e cioè Nuova Democrazia, che, guarda caso, appartiene alla sua stessa famiglia politica europea, anche se proprio non si direbbe, con i ‘fuffini’ di bilancio fatti che manco Lusi e Belsito messi insieme); e pure Mister Obama: “Sull’America –ripete ai suoi elettori- soffia dall’Europa un vento contrario”. E il presidente dell’eurogruppo Juncker definisce “un disastro” l’uscita di Atene dall’euro, perché –spiega il responsabile dell’economia Rehn- “l’Ue ha contenuto la crisi, ma non l’ha domata”. Meno drastico, invece, il capo del governo spagnolo Rajoy, che, pensando a come ha risolto i suoi guai, dice: la Grecia resti col sostegno dell’Unione.

E si sono moltiplicati gli appelli, più o meno retorici e sentiti: perché quelli che chiedono “più Europa”, o maggiore integrazione economica e politica, sono gli stessi che, al momento di decidere, si tirano indietro. Prendiamo la Merkel: rilancia l’Unione politica, afferma che è in gioco il destino dell’Europa, ma boccia gli eurobond.

‘Ovviamente’ più sobrio dei colleghi ‘pro tempore’, il professor Monti afferma che l’Italia ce la farà da sola, senza chiedere aiuti ai partner: “La Merkel dice che l’Italia ce la fa, ma l’Italia ce la fa non perché lo dice la Merkel”. Un passo avanti, mezzo indietro: usciremo in tempo ragionevole, ma la situazione resta grave; ci siamo allontanati dall’orlo dell’abisso, ma il cratere s’è allargato.

Capiamoli, questi leader. Hanno da salvare l’Unione, ma hanno pure da salvare –molti di loro, almeno – il posto. Obama, quando ripete che l’Europa non cresce abbastanza, si preoccupa di arrivare all’Election Day il 6 Novembre con i tassi di crescita dell’economia americana troppo bassi; ma non schioda un cent per lo sviluppo dal Congresso di Washington, dove i repubblicani lo tengono in stallo.

Adesso, si ritrovano tutti al G20 di Los Cabos in Messico: fare la voce grossa prima, e mostrare come le cose sono nere, consentirà, dopo, di presentare come un successo l’acqua fresca di conclusioni pre-confezionate. A meno che, e torniamo al calcio, non fiocchino le sorprese: magari, nei quarti, la Grecia elimina la Germania.

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