La spending review prende di mira il pubblico impiego. Dopo la riunione di ieri tra i ministri coinvolti con Mario Monti ed il commissario Enrico Bondi l’intenzione del governo pare chiara. Anzi, prende sempre più consistenza l’ipotesi che l’attacco al travet parta fin da subito (l’altra possibilità è che venga rimandato a dopo l’estate, per finire nella legge di stabilità, la vecchia Finanziaria). Nel mirino dell’ex liquidatore di Parmalat e del ministro Patroni Griffi ci sono prima di tutto i dirigenti: si sta studiando un meccanismo per ridurne il numero – obbligando con le buone e/o le cattive ad andarsene quelli che hanno più di 40 di anzianità contributiva – e si valuta anche una riduzione media degli stipendi. Non di soli dirigenti vive però l’ansia di tagli dei tecnici supportati dal tecnico (e pare proprio si debba dire “tagli orizzontali”, come ai tempi del vituperato Tremonti): anche i dipendenti normali potrebbero finire sotto schiaffo con la riduzione dei buoni pasto e un ricorso più intenso alla mobilità dopo aver ridefinito le piante organiche dei vari gangli della Pubblica amministrazione.

È a questo che accennava ieri il vice-ministro dell’Economia Vittorio Grilli in un convegno: “Bondi è impegnato nella ricerca e nella eliminazione degli sprechi, ma se vogliamo intervenire in maniera robusta sappiamo che questo non è sufficiente ma bisogna ridisegnare il settore pubblico e ridurne le dimensioni”. Che si vada verso una stretta sugli statali, peraltro, è cosa data per certa anche dalla Cgil: “La spending review si sta trasformando nell’ennesima manovra contro il lavoro pubblico”, anzi “direttamente contro le retribuzioni in essere e le future pensioni e, attraverso l’uso massiccio della speciale cassa integrazione, contro la conservazione del posto di lavoro”.

In sostanza, se passasse la linea dell’approvazione subito, sarebbe un anticipo di manovra correttiva in piena regola, peraltro al di fuori delle competenze assegnate al “commissario agli sprechi” dal decreto di nomina. C’è il problema, d’altra parte, che se il governo non vuole aumentare l’Iva di uno o due punti ad ottobre, deve trovare subito quasi cinque miliardi da qualche parte, visto che una cifra simile – frutto futuribile delle opere di Bondi – l’ha già destinata alla ricostruzione delle zone colpite dal terremoto. Non basta insomma, per Monti e soci, agire solo sulla spesa per beni e servizi – 168 miliardi in tutto, 30 solo nella sanità -, sugli affitti e su una razionalizzazione delle strutture dei ministeri (che però rappresentano solo il 6 percento dell’intera macchina dello Stato): dal sistema centralizzato per gli acquisti sotto l’egida della Consip, di cui ha parlato Passera, il governo stima di ricavare 5 miliardi (almeno uno dal ministero della Salute) già quest’anno e almeno altri otto nel 2013. Da affitti e tagli ai ministeri si potranno invece spremere solo alcune decine di milioni. Come si vede, ordini di grandezza che – da soli, cioè senza la manovra correttiva sugli statali – non riescono a tenere insieme la protezione degli emiliani dal sisma e quella degli italiani dall’Iva, né tantomeno dare l’ennesimo segnale di serietà rigorista ai mercati (che peraltro se ne fregano). Per rimpinguare il bottino, alla fine, oltre alla manovra anti-statali, Bondi si sarebbe concentrato anche sulla spesa farmaceutica. Forse si potrebbero anticipare i tagli che Tremonti aveva previsto per il 2013 (un miliardo di risparmi) o – suggerisce il Terzo Polo – puntare sui farmaci monodose: “Abbatteremmo lo spreco delle medicine e costi per lo Stato da tre miliardi l’anno”.

Da Il Fatto Quotidiano del 13 giugno 2012

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