la distanza della luna, Denise Faggioli e Francesco CatoniCosa c’è di più sublime che ambire a muoversi con gli altri nel ritmo nella vita, nell’armonica legittimazione all’esistenza? È con questo spirito che – parafrasando Hermann Hesse – oggi vorrei presentarvi il progetto La Distanza della Luna. Del resto, è dal duo formato da Denise Fagiolo e Francesco Catoni e dall’ascolto del loro primo Ep che questo pensiero mi è stato ispirato. Su un autobus, passando sui sampietrini, si trema in modo tutt’altro che impercettibilmente, come in inverno rabbrividiscono quei soldati che fanno da piantone al Milite Ignoto all’Altare della Patria. Rifletto su questo concept album che ruota attorno al “desiderio” e alle sue varie sfaccettature: chissà cos’è che desidera quel militare che è costretto a star lì, quando da bambino immaginava magari di fare tutt’altro con una divisa addosso. 

L’interrogarsi sull’individuazione del proprio desiderio, il sondare il senso di mancanza, di sospensione, di rarefazione. Indagare il bisogno umano di estendere la propria esperienza ed esistenza sia nell’orizzontalità che nella verticalità, sulla terra e verso le stelle è quel che ha ispirato il duo nel comporre il loro primo progetto. Con cinque brani pop, ognuno dei quali rappresenta una declinazione del desiderio, da quello amoroso a quello di conoscenza, fino al suo rovesciamento nella passività della seduzione Distanza della Luna è in grado di creare atmosfere rarefatte e sospese.  Con ritmiche dispari a seguire una sorta di affanno, la tensione sognante dell’andare verso le stelle e la contemplazione. Abbiamo intervistato Denise Fagiolo per saperne di più sul duo e sulla loro opera prima.

Denise come nasce il vostro progetto e cos’è che vi ha spinto a scegliere questo nome?
Io e Francesco ci conosciamo da 15 anni, siamo nati e cresciuti in una piccola città della provincia romana in cui abbiamo avuto la fortuna di incontrarci e di condividere con altre persone l’intenzione e lo slancio di superamento delle ristrettezza di possibilità e prospettive attraverso la creatività. La scelta del nostro nome, che ci è stato ispirato dal titolo di una cosmicomica di Italo Calvino, riflette quello stesso desiderio che c’era anche allora: librarsi al di sopra della grevità della terra, spingersi anche solo con lo sguardo oltre le resistenze gravitazionali, evocare un altrove di sogno e immaginazione, tendere alla leggerezza.

Qual è il vostro background artistico?
Veniamo da influenze e suggestioni diverse. Francesco ha una formazione classica (è violinista e violista, oltre a saper suonare praticamente qualsiasi strumento) e, allo stesso tempo, è un amante del metal e delle atmosfere gotiche, scure. Negli ultimi anni ascolta molta musica nordeuropea, soprattutto scandinava. Io sono più legata alla tradizione cantautoriale italiana e a quella che fu la gloriosa scena degli anni 90, sia italiana sia anglosassone. La mescolanza di queste due diverse provenienze e attitudini ha spesso un esito per noi sorprendente: la creazione di una canzone è qualcosa di misterioso, un processo che procede per codici sconosciuti e profondi, che trascendono le nostre individualità e differenze.

La vostra musica è intimista, la curiosità di sapere come nascono le vostre canzoni e cos’è che vi ispira è tanta…
Oltre che dalla Luna, io e Francesco siamo distanti anche tra noi. Nel senso che viviamo in due città diverse, Firenze a Roma. La genesi delle nostre canzoni, dunque, è un po’ bizzarra e la loro realizzazione è stata resa possibile dall’utilizzo dei programmi per far musica. Generalmente Francesco mi invia uno spunto, un’idea o un brano compiuto. A quel punto io lavoro sui testi e sulle melodie, registro tutto e glielo faccio ascoltare. Quando le intenzioni espressive di Francesco si intrecciano con le mie, sebbene taciute e non comunicate, è bellissimo. Durante il periodo della stesura dei brani mi hanno ispirato le letture delle Cosmicomiche e delle Lezioni Americane di Calvino e le riflessioni sul desiderio di Recalcati e Lacan. Francesco ha esplorato queste tematiche attraverso suoni e costruzioni ritmiche che riflettono lo stato di tensione e di smarrimento del desiderante.

Quali sono le vostre ambizioni e quali sono le vostre impressioni riguardo al panorama musicale italiano?
L’ambizione vera è quella di sentirci espressi, di sentire pienezza e bellezza nell’atto stesso della composizione. L’attuale scena italiana presenta sicuramente delle realtà interessanti, che, tuttavia, rimangono sotterranee. L’era dei social network ha consentito maggiore spazio e visibilità per tutti, ma questo fenomeno si è spinto all’eccesso: una sovraesposizione indifferenziata nella quale è difficile essere visti davvero, a meno che non si rispecchino i canoni del fenomeno “commercialmente appetibile”. Che spesso, tuttavia, mi sembra un “molto rumore per nulla”… rapida ascesa e rapido oblio…

Cos’è (se c’è) che invidiate agli altri paesi musicalmente parlando?
Gli spazi per esibirsi, il maggiore rispetto ed attenzione che vengono riservati sia all’ascolto che alla promozione della musica e della cultura in generale. L’Italia è in una condizione di profonda miseria, di dimenticanza.

Avete in programma una tournée per promuovere il vostro album?
Abbiamo fatto alcuni concerti nei mesi scorsi, in trio, a Roma e Firenze, con la fortuna di aver suonato in luoghi davvero belli tra cui la Casa del Jazz. Ora siamo in una fase di riformulazione, di ricerca…

In quali ambienti preferite esibirvi?
Preferiamo i luoghi raccolti, sintonici con il carattere intimista dei nostri brani. In cui il contatto con il pubblico sia davvero emotivo. Silenziosamente emotivo.

Prossimi progetti?
Al momento stiamo ricercando altri musicisti per presentare dal vivo i nostri brani. Oltre a questo continuare a scrivere e poi, chissà, magari registrare un disco.

Articolo Precedente

Springsteen, il rock in cui riconoscersi

next
Articolo Successivo

La musica nelle scuole per emanciparsi dall’egemonia crociana

next