Il novantenne Giovanni Conso, importante giurista e ministro di Grazia e Giustizia fino al 10 maggio del 1994, è iscritto nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia. L’ex Guardasigilli è sospettato di aver fornito false informazioni ai pm della procura di Palermo, titolari dell’indagine sul patto sotterraneo che portò pezzi delle istituzioni a sedersi allo stesso tavolo di Cosa Nostra nel 1992.

Conso, autore dei più importanti manuali di procedura penale, nel novembre del 1993 non rinnovò oltre trecento provvedimenti di 41 bis, il carcere duro per detenuti mafiosi. “Ho preso quella decisione in totale autonomia per fermare la minaccia di altre stragi e non ci fu nessuna trattativa” ha detto l’ex Guardasigilli davanti la commissione parlamentare antimafia l’11 novembre del 2010. Per gli inquirenti palermitani invece proprio la mancata proroga del 41 bis costituirebbe uno degli oggetti principali della trattativa.

È per questo che i magistrati vogliono vederci chiaro anche sulla nomina del giudice Francesco Di Maggio come vice capo del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Di Maggio venne chiamato ai vertici dell’amministrazione penitenziaria proprio da Conso, e siccome in origine non aveva i titoli richiesti dalla legge, l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro lo nominò consigliere di Stato. Quando nei mesi scorsi, i pm palermitani avevano chiesto a Conso le motivazioni che lo avevano indotto a scegliere proprio Di Maggio, l’ex ministro si è limitato a dire che il giudice deceduto nel 1996 “era una persona che andava un po’ in televisione, diciamo così, quindi era combattivo, era un esternatore e mi era parso molto efficace”. Una giustificazione che non è stata ritenuta credibile dagli inquirenti palermitani.

La decisione di iscrivere Conso nel registro degli indagati arriva proprio quando l’inchiesta sulla trattativa è al primo importante giro di boa. Nelle prossime ore i magistrati siciliani invieranno infatti l’avviso di conclusione delle indagini ai principali indagati dell’inchiesta che sta cercando di mettere a nudo le connivenze più inconfessabili tra la mafia e pezzi dello Stato nel periodo delle stragi. Tra i destinatari dell’avviso di conclusione non ci sarà però Conso, che non riceverà per il momento neanche l’avviso di garanzia. Per il reato di false informazioni ai pm, il codice prevede infatti che la posizione dell’indagato resti sospesa fino a quando il procedimento principale non arrivi alla sentenza del primo grado di giudizio. Nel caso di Conso quindi bisognerà aspettare il primo grado del processo sulla trattativa.

Dopo due anni di interrogatori con boss mafiosi e testimoni eccellenti, smemorate audizioni di importanti figure istituzionali e complesse analisi di documenti inediti, i magistrati coordinati dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia si sono barricati nei giorni scorsi in riunione permanente. Nell’avviso di conclusione delle indagini infatti devono essere indicate le imputazioni con le quali s’intende mandare a giudizio gli indagati. Il carnet delle possibilità è molto vario: si va infatti dalla violenza o minaccia a corpo politico dello Stato (il reato principale della trattativa), al favoreggiamento aggravato, fino alla falsa testimonianza contestata nei giorni scorsi all’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino.

Un elenco d’ipotesi di reato fin troppo ampio, che ha diviso la procura. L’avviso di conclusione delle indagini infatti non sarà firmato da Paolo Guido, uno dei sostituti procuratori che – insieme ai colleghi Lia Sava e Antonino Di Matteo – ha affiancato Ingroia fino ad ora. Per evitare che l’iter dell’indagine si blocchi Guido si è “spogliato” dell’inchiesta, ed è stato sostituito dal dottor Francesco Del Bene, già titolare di una costola dell’inchiesta sulla trattativa, cioè l’indagine sul delitto di Salvo Lima. Alla base della divergenza di opinioni ci sarebbe proprio un disaccordo di Guido in merito ai reati da contestare agl’indagati. Il nodo è rappresentato soprattutto dalle accuse mosse agli indagati eccellenti – come gli ex ministri Nicola Mancino e Calogero Mannino o il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri – giudicate deboli e quindi difficili da dimostrare in dibattimento.

All’avviso di conclusione delle indagini preliminari potrebbe alla fine mancare anche la firma del capo della procura di Palermo, Francesco Messineo, nei giorni scorsi proposto dal Csm come nuovo procuratore generale. La firma del procuratore capo in realtà non è richiesta per l’avviso di conclusione delle indagini, non essendo Messineo titolare formale del fascicolo. Sull’argomento però il palazzo di giustizia si è stretto in un inviolabile silenzio stampa.

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