Che dalla prima metà del 1992 in poi pezzi deviati dello Stato trattarono con Cosa Nostra è assodato. E, sebbene l’obiettivo apparente fosse quello di far cessare le stragi (la presunta ragion di Stato, che tanto ci è costata), è evidente che il risultato fu un rafforzamento della scelta stragista della mafia.

In questi ultimi mesi, però, nell’aula del tribunale di Palermo in cui si celebra il processo al generale Mario Mori e al colonnello Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra per la mancata cattura del boss Provenzano, si è visto e sentito di tutto.

Oggi, sul registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa, spuntano nomi “nuovi” ed eccellenti. L’ultimo, in ordine di tempo, è quello di Nicola Mancino: indagato per falsa testimonianza. L’ex Presidente del Senato ed ex vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, infatti, è accusato dalla Procura di Palermo di aver rilasciato dichiarazioni mendaci di fronte ai magistrati.

Nulla di nuovo sotto il sole, comunque. Le mie opinioni sulla smemoratezza di Mancino sul biennio ‘92-’93 e sugli ultimi giorni di vita di Paolo Borsellino, infatti, sono note e risalgono ad un periodo parecchio antecedente all’iscrizione sul registro degli indagati. Il 21 ottobre del 2009 scrivevo “A fronte di tutto questo non si può più fare finta di niente: da una parte abbiamo numerose personalità politiche (alcune ancora in auge, come Nicola Mancino, vicepresidente del Csm) che perpetuano la loro smemoratezza su quel biennio infausto; dall’altro un organismo investigativo, il R.o.s. dei Carabinieri, che palesemente è stato coinvolto in attività ingiustificabili (e che è guidato ancora oggi dal generale Ganzer, imputato di gravissimi delitti innanzi al Tribunale di Milano)”. Ed era il 30 aprile dello stesso anno che chiedevo a Mancino, il quale mi aveva appena definita “deprecabile interferenza esterna” riguardo alle dimissioni del procuratore di Reggio Emilia Italo Materia, di collaborare con la giustizia. Gli imputavo proprio questo: di essere bugiardo e smemorato. Finalmente anche i magistrati hanno avuto l’opportunità di registrare gravi incongruenze nelle dichiarazioni di questo personaggio chiave del periodo stragista di Cosa Nostra.

Adesso l’ex Ministro dovrà chiarire una volta e per tutte come sono andati i fatti riguardo all’avvicendamento tra Scotti e lo stesso Mancino alla guida del Ministero dell’Interno il 28 giugno del 1992 e, soprattutto, si spera abbia la volontà di spiegare ai tanti cittadini assetati di verità e giustizia cosa accadde l’1 luglio dello stesso anno, quando, verosimilmente, incontrò Paolo Borsellino e lo fece uscire dalle stanze del Ministero visibilmente sconvolto. Le premesse, viste le sue dichiarazioni fino ad oggi negazioniste, non sono delle migliori. Io però ci credo: se ai magistrati che si occupano di queste delicate inchieste sarà data l’opportunità di lavorare liberamente e nel rispetto dell’indipendenza della magistratura, allora la verità verrà fuori.

Intanto, alla prossima udienza del processo Mori (22 giugno), sarà sentito il maresciallo Scibilia, la cui presenza in aula lo scorso 18 maggio mi aveva particolarmente incuriosita. L’1 giugno avevo auspicato che Scibilia fosse chiamato a testimoniare: mi era parso inevitabile, vista la conclusione di quell’udienza. Il pm Antonino Di Matteo, infatti, aveva prodotto in aula l’annotazione di servizio di un agente della Dia su quanto accaduto poco prima della deposizione del 18 maggio di Riccardo Guazzelli, figlio del maresciallo ucciso vent’anni fa. Scibilia gli avrebbe detto: ‘mi raccomando, eh?’ e Guazzelli avrebbe risposto ‘stia tranquillo’. Ciò che mi auguro è che Scibilia non abbia commesso subornazione testimoniale di Guazzelli, il cui impaccio, nel corso del suo esame, come ho già raccontato, era stato colto e stigmatizzato pure dal presidente del tribunale.

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