Antonio Catricalà, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, si è posto il problema di riformare il giudizio disciplinare dei magistrati: non più il Csmma un organo esterno, composto da 3 giudici e da 3 membri laici nominati dalla politica. Monti e Severino gli hanno detto che non se ne parla nemmeno (tra l’altro ci va una riforma costituzionale) e lui si è ritirato in buon ordine.

Però è evidente che la giustizia continua a essere un nervo scoperto per la politica: prima l’emendamento Pini sulla responsabilità civile dei giudici; e ora Catricalà. La domanda è: c’è davvero un problema di giudizio disciplinare per i magistrati? Veramente un po’ sì; però è difficile trovare una soluzione. Gli illeciti disciplinari riguardano il comportamento del giudice sul lavoro: in genere ritardi ingiustificati nel deposito delle sentenze; ma spesso comportamenti incompatibili con il ruolo del magistrato, per esempio amicizie con pregiudicati; oppure, nel caso dei capi degli uffici, incapacità organizzative. La commissione di reati naturalmente non rientra nel disciplinare: se un giudice si fa corrompere si fa un normale processo.

Fino ad ora di tutto ciò si è occupato il Csm: una maggioranza di giudici e una minoranza di politici. Se ne è occupato bene? Quasi sempre sì, anche se la tendenza a favorire gli “amici di corrente” obiettivamente c’è stata. Attenzione, non è che i giudici proteggano i loro colleghi per ragioni di casta e che perciò il giudizio disciplinare sia morbido; anzi è molto severo. Solo che per i correntizi (gli appartenenti alle correnti della magistratura) e i correntocrati (i vertici delle correnti) questo è un po’ meno vero: gli amici si riconoscono nel momento del bisogno e le correnti sono solidali a prescindere. Il sistema però ha un lato positivo importante: protegge i giudici dalle denunce strumentali, dalle persecuzioni dei potenti. Ci sono state alcune eccezioni (Forleo, De Magistris…); ma il Csm è davvero uno scudo per l’indipendenza del giudice. E l’indipendenza del giudice è una garanzia per i diritti dei cittadini.

Teoricamente tutto ciò potrebbe essere migliorato: affidiamo il giudizio disciplinare a un’autorità autonoma rispetto ai magistrati e così evitiamo i (tanti o pochi) favoritismi. Solo che il problema si sposta sulla nomina dei componenti di questa autorità. La classe politica semplicemente non è in grado di esprimere persone autonome e indipendenti: il vincolo di appartenenza alla fazione è incompatibile con l’imparzialità nel giudizio. Sicché chiunque capisce che è privo di senso affidare il giudizio su un magistrato a gente appartenente a un ambiente caratterizzato da un tasso di illegalità superiore a quello delle più degradate periferie urbane. Insomma, per evitare qualche favoritismo (magari anche più di qualche) si apre la strada alla persecuzione programmata del giudice scomodo. Allora?

Ecco, si potrebbe provare così: un’Alta corte disciplinare per magistrati ordinari, amministrativi e contabili i cui componenti sono sorteggiati tra i magistrati e gli avvocati in pensione (magari con un limite di età) e i professori universitari in materie di diritto; si incrociano le dita e si sta a guardare. Dovrebbe funzionare. La competenza professionale è ragionevolmente garantita. L’autonomia e l’indipendenza anche: bisognerebbe essere proprio sfortunati per cascare sull’amico di B. o di Cuffaro o di Cosentino etc. Vero è che sono tanti…

Il Fatto Quotidiano, 1 Giugno 2012

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