Gli obiettivi dell’Agenda digitale non potranno essere raggiunti senza l’apporto di fondi pubblici, ma è fondamentale che questi siano utilizzati in maniera oculata e che siano complementari – e non sostitutivi – rispetto a quelli dei privati. L’indicazione è della Commissione europea nel documento sugli orientamenti dell’Ue per le norme in materia di aiuti di Stato per lo sviluppo rapido di reti a banda larga. Un settore che in Italia si è accesso di novità con Telecom che intende portare i 100 Mbit/s in 99 comuni e dall’altra Metroweb per vuole portare la fibra in 30 città italiane. A fianco di F2i (nessuno scontro con Telecom dice l’ad Vito Gamberale, ndr), azionista di maggioranza di Metroweb, c’è un nuovo alleato, il Fondo Strategico Italiano, controllato dalla Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), a sua volta controllata al 70% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che mette sul piatto 500 milioni di euro.  E sullo sfondo di tutto questo – secondo il quotidiano la Repubblica – anche l’ipotesi di una fusione Telecom (con  il numero uno Franco Bernabè che ha dichiarato di voler vendere Ti Media, perché la tv non è strategica con il business del gruppo, ndr) con Mediaset (che continua a perdere in borsa, ndr). Operazione, che potrebbe dare nuovi sbocchi ai contenuti del gruppo della famiglia Berlusconi, che sarebbe gradita al ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera. 

Secondo le stime della Commissione “gli investimenti necessari per realizzare l’obiettivo di una velocità di trasmissione superiore a 30 Mbit/s sfiorano i 60 miliardi di euro, mentre occorrono fino a 270 miliardi di euro affinché almeno il 50% delle famiglie si dotino di una connessione Internet superiore a 100 Mbit/s”. Per definire i criteri di impiego delle risorse pubbliche e di sviluppo delle reti a banda larga negli Stati membri, la Commissione europea ha lanciato una consultazione pubblica per la revisione delle linee guida per l’applicazione della normativa sugli aiuti di stato per lo sviluppo della banda larga. “Il controllo degli aiuti di Stato – ha commentato Joaquin Almunia, commissario europeo alla concorrenza – deve sostenere gli obiettivi dell’Agenda digitale, pur mantenendo gli incentivi per gli investimenti privati. In questo settore strategico è necessario un quadro dinamico per l’applicazione delle regole sugli aiuti di Stato che favorisca gli investimenti”.

La Commissione ha evidenziato che “gli operatori commerciali costituiscono senza dubbio la prima fonte di investimento, ma gli obiettivi dell’Agenda digitale non potranno essere raggiunti senza l’apporto di fondi pubblici”. Tuttavia “ogni intervento statale – si legge ancora nelle linee guida della Commissione – deve limitare al massimo il rischio che siano compromessi gli investimenti privati e che siano minacciati gli incentivi commerciali”, così da evitare che vi siano distorsioni della concorrenza. Il documento di Bruxelles conferma anche che “al fine di evitare che l’impiego di risorse pubbliche non impedisca gli investimenti privati nelle aree identificate, le autorità pubbliche dovranno verificare che non vi siano investitori privati che abbiano piani d’investimento previsti nell’area interessata”.

Per quanto riguarda l’Italia, l’intervento della Cdp nel capitale di F2i potrebbe ricadere nell’ipotesi di aiuti di Stato e quindi essere analizzaata da Bruxelles, e lo stesso succederebbe se la Telecom decidesse di scorporare la sua rete di accesso, appunto come annunciato da Bernabé, in una società dove intervenisse un soggetto pubblico. Ma questa è solo un’ipotesi. Certo è che il testo richiama quindi l’articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – incompatibilità di aiuti di Stato a favore di alcune imprese che falsino o minaccino di falsare la concorrenza – che riguarda anche il caso in cui il settore pubblico investa nella costruzione di un’infrastruttura in banda larga. Il concetto di “servizio pubblico”, che ammetterebbe l’intervento statale, potrebbe applicarsi solo al caso di infrastrutture “passive, neutre e liberamente accessibili” e quindi solo a servizi all’ingrosso, ma non all’utente finale. Gli Stati membri dovrebbero però incoraggiare il riutilizzo di strutture esistenti, in modo da “evitare inutili duplicazioni e sprechi di risorse”. Sulla banda ultraveloce (oltre i 100 mega), la bozza prevede “l’intervento pubblico sarebbe ancora possibile in aree in cui le reti di nuova generazione esistenti o previste non raggiungano l’abitazione dell’utente finale con reti in fibra ottica”, a condizione che le caratteristiche tecnologiche dell’infrastruttura sovvenzionata siano “significativamente più avanzate”, esista “una domanda in prospettiva” e la rete sia “esclusivamente all’ingrosso”. 

 

 

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