Se si guarda solo Internet, non c’è dubbio: pochissimi vogliono la parata militare del 2 giugno. Twitter trabocca di appelli, a destra e a manca si raccolgono firme, Facebook scoppia di gruppi, link, mobilitazioni.

Se tutti la pensano allo stesso modo, la tentazione di uniformarsi “alla massa” è sempre dietro l’angolo. Eppure, ragionare fuori dal coro, ogni tanto, può essere utile a guardare le cose in un contesto più ampio.

Si dice che senza la parata si risparmierebbero tre milioni di euro, e che quella cifra dovrebbe andare ai terremotati. Per carità, sulla carta è tutto giusto! Ma il terremoto ha prodotto per ora 500 milioni di euro di danni, che verrebbero coperti solo in minima parte dallo stop alle celebrazioni. Inoltre, basta farsi un giro in motorino questo pomeriggio in via dei Fori Impierali: è già quasi tutto pronto, ci sono decine di persone al lavoro. Molti di quei soldi, ora come ora, sono già stati spesi.

Un altro elemento: cosa si festeggia il 2 giugno? Bhè, si festeggia il referendum monarchia-repubblica (vinto da quest’ultima). Si festeggia la nascita della Repubblica Italiana, la sua Costituzione, l’antifascismo che liberò il nostro paese dalla dittatura fascista. Si festeggia il primo suffragio universale delle nostra storia; in qualche modo, si rende onore alle battaglie folli di Mazzini e Garibaldi, al Risorgimento.

Dicono: però è una parata militare mentre tutti noi abborriamo la guerra: “War is over, if you want it“. Certo, è così. Ma la funzione di quella sfilata – posto che per ora gli eserciti non si possono abolire – rappresenta proprio l’inchino delle forze armate alle istituzioni repubblicani e alla Costituzione. Non a caso, avviene il 2 giugno, e non il 4 novembre, festa delle forze armate – questa sì potrebbe sembrare una “bravata” guerrafondaia.

Nessuno si fa illusioni: lo scorso anno quelle istituzioni erano rappresentate anche da Berlusconi, e quest’anno si confermano persone del calibro di Schifani. Ma gli uomini passano, la Costituzione, invece, la Repubblica, restano. E meritano un festeggiamento, proprio così come avviene in Francia il 14 luglio, dove celebrano la presa della Bastiglia; o negli Stati Uniti il 4 luglio, quando ricordano la dichiarazione di Indipendenza.

E le popolazioni colpite dal terremoto? chiederete voi. Ebbene, io penso che uno Stato serio debba essere in grado di soccorrere i suoi cittadini e al contempo di onorare le sue istituzioni: altrimenti non è uno Stato, è una barzelletta.

Un’ultima considerazione sulla “Rete” e poi, giuro, ho finito. Molti hanno preso a cuore questa campagna anti-parata. Epperò temo che a volte Internet si presti a campagne facilmente “viralizzabili” ma scarsamente incisive e centrate. Non richiede troppo impegno promuovere una hashtag o lasciare una firma su una petizione online. Ma quanto è realmente utile tutto ciò a coloro che ora vivono in tenda? Non credo molto. Questa tendenza internettiana, a volte spaventa un po’: forse sarebbe utile ragionarci di più e meglio. Non vorrei che, da qui al 2013, qualcuno lanciasse una campagna per risparmiare i soldi dei seggi alle elezioni, o quelli spesi per la festività del primo maggio, per utilizzarli magari nello sviluppo della banda larga. Viva la banda larga, ma non sarebbe una buona idea.

twitter.com/fedemello

Articolo Precedente

San Raffaele. L’Espresso, Formigoni Passera e le banche sollecitarono lo Ior

next
Articolo Successivo

“La ricerca di punta sui terremoti è senza fondi. E gli scienziati sono precari”

next