Sabato 26 maggio, tornato a Ferrara da un lungo sopralluogo nelle zone della provincia colpite dal terremoto, mi sono fermato alle spalle dell’agghiacciante struttura rosso fuoco che troneggia sulla darsena cittadina, e mi sono messo a osservare le centinaia di pesci morti che galleggiano sul Po di Volano.

La moria ittica, con il suo miasma da putrefazione, pare sia una conseguenza del terremoto. Gli esperti attribuiscono il massacro alla diminuzione d’ossigeno e alla liberazione di gas tossici dal fondo del fiume dovuta al movimento tellurico.

Non condivido il nichilismo dei sacerdoti indovini Maya, riportato in auge dagli autoproclamati nuovi oratori da televisione. Non credo che il sisma emiliano sia l”inizio della fine del mondo e i pesci morti un monito che anticipa nuove terribili catastrofi. Ho trovato semplicemente la scena molto macabra, la ciliegina sulla torta del senso collettivo di disagio che dobbiamo farci passare.

Non che, pesci a parte, le istituzioni ci aiutino molto. Hanno detto che Ferrara ha avuto grossi danni ai monumenti e che dall’alto faranno il possibile per sistemare al più presto le bellezze architettoniche estensi. Sembra incredibile ma in città vivono anche dei cittadini. Molti hanno avuto le abitazioni danneggiate, qualcuno è stato fatto evacuare. Il Grattacielo, di cui nessuno parla, forse perché è il luogo multietnico per i più, solo il luogo dello spaccio per gli imbecilli, ha avuto danni molto gravi. Strutturali? Forse. Ma non è il Castello Estense, non è rilevante, male che vada può solo crollare sulla piazza sottostante dove ci sono le prostitute e la chiesa evangelica gestita dai cinesi. Oltre alla stazione ferroviaria.

Per una città abituata all’angoscia che dà la pianura infinita (come cantava Guccini), una città abituata a una calma e statica quotidianità, un terremoto può portare a gesti folli, di dinamismo isterico. Domenica pomeriggio, dieci ore dopo il forte sisma del mattino e lo stato di emergenza su tutto il territorio, la multisala cittadina ha aperto per i cinquanta deresponsabilizzati che forse non avevano capito che le scosse possono polverizzare i palazzi e che non è molto intelligente portare i propri figli in una struttura pubblica. La scossa seguente ha fatto scappare le persone dalle sale. Biglietti rimborsati: a livello economico, per la sensibile e umanitaria multisala, un’operazione utile come svuotare le tasche a un mendicante.

E nella provincia, nelle zone più colpite dal terremoto, le stranezze sono ancora di più.

Sono stato con il filmaker Alberto Gigante e la fotografa Matilde Morselli a fare un lungo tour per un paio di reportage usciti nei giorni scorsi su il Reportage ed estense.com

La prima stranezza è a San Carlo: “Il quadrilatero di vie che forma il centro storico è diventato il Quartiere Fantasma della Sabbia Nera. La Sabbia Nera. Hanno chiamato così l’alchemico processo che solleva il terreno sabbioso del luogo trasformandolo in fanghiglia liquefatta che ha invaso le case.

La seconda stranezza è a Buonacompra: “Il campanile è spezzato in tre tronconi. C’è il rischio evidente che possa crollare da un momento all’altro. L’anziano prete assicura che quelle che suonano ogni ora non sono certo le due campane da dieci quintali l’una che troneggiano dall’alto del campanile pericolante, ma semplici campane elettriche. Con fare un po’ nichilista, ci consiglia di rimanere fino a mezzogiorno quando lo scampanellio perdurerà qualche minuto. A volte la fede in Dio è più grande del buon senso.”

La terza stranezza è a Sant’Agostino: “Nella parte nuova di piazza Sandro Pertini, dove gli edifici non hanno subito danni, persone appoggiate alla ringhiera dei balconi del terzo piano guardano la vita sottostante. Un uomo seduto su uno sgabello aspetta, pazientemente, con la telecamera fissata sul treppiede, che il pesante lampadario che pende nella vasta sala sventrata del Municipio cada. Che l’intera struttura crolli. L’occhio della telecamera aspetta lo scoop.”

Intanto i pesci morti continuano a navigare verso la chiusa di Valpagliaro, formando una diga marcia e putrefatta a ricordarci il disagio di quest’ultima settimana. Le autorità ci hanno esortato a reagire, ci hanno detto “Siate forti, voi emiliani sapete come fare a riprendervi”. Commovente, ci mancava solo che qualche ministro tirasse fuori la tempra dei nostri nonni partigiani, una lunga tradizione di sacrifici e vittorie.

Le autorità ci hanno imposto il loro training di autostima, modalità veloce, poiché sono tutte dovute scappare per presenziare a parate, manifestazioni, convention, riunioni, briefing, celebrazioni. Va bene, grazie del sostegno, ma gli aiuti? Concretamente, per gli sfollati, per il tessuto lavorativo ed economico completamente in ginocchio, cosa farà lo Stato? Nessuno ha fatto in tempo a chiederglielo, erano già partiti. Ma erano desolati, non sono riusciti nemmeno a fare un salto ai funerali degli operai morti sul posto di lavoro, schiacciati dai detriti. Però hanno mandato i fiori. Un minuto di silenzio sarebbe stato troppo. Il raccoglimento non è indicato per una terra che deve andare subito avanti. Lavorare. Ok, ma dove? chiede un po’ spaesato un operaio su tre nelle zone fra Sant’Agostino, Mirabello, San Carlo, Bondeno.

Che disagio. E questi pesci morti puzzano proprio. Come ha scritto Alberto Gigante a coda del suo breve documentario sulla moria ittica: “I cittadini chiedono a gran voce di cambiare la dicitura sui cartelli di benvenuto: da ‘Città delle Biciclette’ a ‘Calcutta d’Italia’”.

 

Ferrara, Po di Volano, di Alberto Gigante:

 

 

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