JP Morgan deve fronteggiare perdite miliardarie nel trading su derivati e ha dovuto rinunciare al piano di buy-back da 15 miliardi di dollari con cui sperava di risollevare il titolo. Morgan Stanley è sul banco degli imputati per avere gestito in modo scorretto la quotazione fallimentare di Facebook. L’intero mondo delle grandi banche d’affari americane è sotto tiro e non soltanto da parte dei movimenti antagonisti. Tanto che nei giorni scorsi il presidente Barack Obama ha dichiarato la necessità di stabilire regole più severe per Wall Street. Non solo. Gli ultimi scandali finanziari hanno alimentato la richiesta di una tassa sulle transazioni finanziarie in America, molto temuta dal mondo della finanza.

L’imposta, secondo i sostenitori, non porterà soltanto soldi nelle casse pubbliche, ma servirà a disincentivare gli investimenti più azzardati, come quelli che hanno causato il buco miliardario di JP Morgan. Una tassa su azioni, obbligazioni, derivati e operazioni di cambio della valuta – soprannominata Robin Hood Tax – è all’ordine del giorno anche in Europa, bloccata finora dagli inglesi. Migliaia di americani sono scesi in piazza nei giorni scorsi a Chicago, in occasione del Summit Nato, per chiederla a gran voce, ripristinando una tassazione analoga a quella in vigore dal 1914 al 1966.

Una tassa dello 0,03 per cento, secondo il gruppo bipartisan Committee on taxation, frutterebbe 350 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni e potrà essere utilizzata anche per finanziare la riforma sanitaria. Nonostante ciò Obama non ha mai appoggiato la Robin Hood Tax, sostenendo che sarebbe facile da evadere e rischierebbe di bloccare la crescita economica aumentando la volatilità dei mercati finanziari. Di parere opposto risulta un discreto numero di autorevoli esponenti politici e dell’economia, tra cui spiccano l’economista Paul Krugman e Joseph Stiglitz, ex capo economista della Banca Mondiale, entrambi schierati a favore della tassazione. “L’attività di trading è troppo a buon mercato”, ha ammesso l’avvocato fiscalista Lee Sheppard, sottolineando che i provvedimenti adottati dal 1975 in poi hanno tolto sempre più oneri alla speculazione finanziaria.

Gli ultimi scandali finanziari hanno rilanciato l’ottimismo e la determinazione dei sostenitori della Robin Hood Tax. In particolare il profondo buco rivelato da JP Morgan che, secondo l’emittente televisiva Cnn, è arrivato alla quota record di 7 miliardi di dollari e su cui ha puntato i riflettori perfino la Sec, la Consob americana. Mary Schapiro, presidente dell’agenzia di controllo, ha detto che sono in corso controlli sull’accuratezza e l’attendibilità di bilanci e report diffusi dalla banca nel primo trimestre dell’anno. E la stessa Sec – secondo Richard Ketchum, numero uno della Financial industry regulatory authority – ha acceso i riflettori anche su Morgan Stanley, capofila del collocamento di Facebook.

Proprio un analista dell’istituto infatti, mentre Facebook organizzava il roadshow di presentazione dell’offerta, ha tagliato le stime di crescita per il fatturato del social network, mettendo in guardia gli investitori. Ha contribuito così al flop del titolo, che ha chiuso in rosso le prime due sedute successive al debutto. E la posizione della banca d’affari, come ha spiegato Ketchum, risulterà particolarmente delicata nel caso in cui le autorità scopriranno che le dritte sul futuro di Facebook erano riservate soltanto ai clienti migliori.

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