Mentre Facebook approda a Wall Street e i social network da mesi sono sbarcati in Borsa, in Italia torna la protesta delle tute arancioni, le stesse che a inizio millennio tentarono di salvare il proprio posto e di aprire per tutti lavoratori della nascente new economy il grande capitolo dei diritti. A dieci anni di distanza la rete è esplosa, i diritti sindacali sono rimasti al palo, ma si torna da capo: i dipendenti di Matrix, la società di Telecom che gestisce il portale di contenuti Virgilio, tornano sul piede di guerra.

Nell’aria c’è la vendita in blocco a una società concorrente e il rischio che l’operazione porti a licenziamenti ed esternalizzazioni. La controparte data per certa, dopo il ritito di De Benendetti e Banzai, è infatti il gruppo dell’imprenditore egiziano Naguib Sawiris, che controlla già l’altro grande portale italiano, Libero.it. Il 18 maggio le due società hanno stretto accordi mai “girati” ai lavoratori su cui ricadono. A Libero lavorano 180 persone, a Virgilio 275 su Milano e 15 su Roma. La sovrapposizione delle attività fa preludere a un qualche piano di riassetto che possa sconvolgere la vita dei 300 dipendenti della controllata Telecom. Il punto è lo stesso di undici anni fa: chi viene estromesso da una web company non ha tutele sindacali, non ha ammortizzatori sociali e al massimo può sperare di negoziare una qualche buona uscita intavolando una trattativa da posizione a dir poco debole. E’ successo già con le vendite precedenti. Rischia di accadere ancora.

Per questo la scorsa settimana i lavoratori di Virgilio hanno rispolverato le tute simbolo della protesta e si sono presentati davanti alla sede di Matrix Spa in via piazza Einaudi 8. Due ore di sciopero che potrebbero ripetersi presto. Oggi stesso l’area risorse umane della società doveva incontrare una delegazione di lavoratori, ma l’appuntamento è stato rimandato. Anche delle intenzioni dell’acquirente si sa ancora poco. Sawiris ha già acquisito la società Joyent e con l’abbinata Libero-Virgilio punterebbe a realizzare una sorta di hub per la vendita di servizi cloud alle piccole e medie aziende. Non è chiaro, in questo quadro, cosa ne sarebbe dei lavoratori sull’uno e l’altro fronte dei portali che, messi insieme, farebbero una corazzata da 6,7 milioni di utenti unici al giorno. Sul lato Telecom la vendita sarebbe dettata da ragioni di cassa.

Negli ultimi tre anni Matrix ha presentato conti in ordine e fatto investimenti ma il 2011 è stato segnato da un ridimensionamento dei margini e perdite crescenti che in bilancio ammontano a 12. Tanto che i lavoratori della ‘business unit Captive’ che realizzavano il web per Telecom sono stati internalizzati dalla stessa Telecom. Diversa però la prospettiva in caso di vendita: senza una controparte sindacale attiva e in un quadro giuridico inesistente, per i lavoratori del web il trasloco negli uffici di Sawiris è un salto nel buio e chi sta fuori lo fa ancora senza reti.

Si guarda a questa vicenda con preoccupazione anche perché quella su Matrix potrebbe essere la prima di una serie di operazioni frutto delle grandi manovre che sotto traccia si muovono per cambiare la geografia del comparto. Dopo la rivoluzione del digitale la tv del futuro è quella connessa e soliti big sono ai nastri di partenza. Le nuove televisioni si connettono alla rete tramite cavo telefonico e questo porterà a far uscire Internet dal pc per piazzarlo direttamente in salotto trasformato in prateria per i bisonti della pubblciità. Non a caso si rincorrono ipotesi su un acquisto successivo dei due aggregatori da parte di Mediaset finalizzato a rafforzare il fronte meultimediale del Biscione prima che arrivi davvero il gigante Google a far saltare il tavolo. Poi ci sono le rivoluzioni epocali che vanno avanti con l’ordito fine e sfuggente della politica, la privatizzazione della Rai e la vendita di La7 e tante altre. E mentre si sciolgono e annodano i fili per un mercato rimescolato, le regole sono rimaste al palo.

A giorni si saprà chi sarà alla testa dell’Agcom, l’autorità che vigila sull’assetto delle telecomunicazioni, Internet ed economia digitale. In gioco sia la poltrona di presidente (al posto dell’attuale Corrado Calabrò) che quelle dei commissari, dimezzati dal decreto Salva Italia. E tutto questo senza che i lavoratori abbiano garanzie occupazionali o paracadute di alcun genere. Domani alle 11 l’aula della Camerà sarà chiamata a indicare una rosa di nomi e tra i quali spiccano due componenti dell’Agcom ma avrà 60 giorni di tempo per farlo. In lizza la candidatura governativa di Antonio Catricalà, attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri e già presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Ovunque, ma soprattutto in rete, fioccano richieste di trasparenza e candidature alternative come quella via web di Stefano Quintarelli, direttore dell’area Digitale del Sole24Ore, forte di quasi 15mila firme raccolte in una petizione online. La decisione spetta al governo e le candidature sono al vaglio del ministro Passera.

In questa vicenda si intravedono fili, interessi di parte, logiche industriali e di appartenenza polica. Non si vede proprio nulla, invece, per il futuro di chi sta sotto, quegli strani operai della rete come in Virgilio che sono iperqualificati in un settore tra i più innovativi, ma vanno incontro al futuro con meno tutele e siede sulle macerie di un’industria in crisi e non va più in Paradiso, come voleva il film di Petri, già nel 1971. Il loro luogo di incontro oggi, ovviamente, è la rete. Chi vuole seguirli e sostenerli può farlo su Facebook con il gruppo Tute arancioni e anche su Twitter con l’hashtag “#occupyVirgilio”.

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